L'iniziativa
Dalla parte di Israele, è finito il tempo del silenzio: appuntamento il 30 giugno per ribadire che il muro si può abbattere

A quante raccolte di firme abbiamo partecipato nella nostra vita, e quante volte ci siamo chiesti “ma serviranno a qualcosa”, e in quante occasioni abbiamo detto basta a manifesti e appelli. Questa volta è stato diverso. Quando con Fiamma, Nicoletta, Giancarlo, Iuri, Niram, Bruno, Aldo, Massimo abbiamo deciso di urlare “Dalla parte di Israele”, lo abbiamo fatto innanzitutto per disperazione. Perché non riuscivamo a vedere vie di uscita concrete – e operative – dalla narrazione tossica di quanto accade a Gaza, che ha resuscitato, e ormai ogni giorno rinverdisce con assoluta impunità, i fantasmi di un passato che non pensavamo potesse tornare.
Ma evidentemente quello spessissimo grumo di odio che l’umanità si porta dietro da millenni è più potente di qualunque lezione della storia, anche della Shoah. Così oggi l’antisemitismo atavico torna ad appestare il mondo, assumendo le sembianze altrettanto odiose dell’antisionismo, per approdare infine al risultato di sempre: la negazione del diritto degli ebrei ad avere una loro terra, il rifiuto dell’esistenza e della sopravvivenza dello Stato di Israele.
Per questo ci siamo messi in moto, con una elementare raccolta di firme intorno ad un manifesto scritto con parole e concetti radicali. Solo così, senza mediazioni e linguaggi felpati, potevamo esprimere la nostra indignazione e sperare in una reazione, fare scoccare una scintilla. Quello che è accaduto dopo ci ha riconsegnato la speranza. Per la quantità e la qualità delle adesioni all’appello. Perché in tantissimi hanno colto l’occasione per farsi sentire e dire a gran voce che sì, è possibile spezzare l’omertoso muro di silenzio che circonda e opprime le ragioni di Israele. E che, naturalmente, non basta un bel numero di firme, bisogna andare oltre.
Di qui l’iniziativa del prossimo 30 giugno (ore 18 teatro Rossini, piazza di Santa Chiara, 14 – Roma), quando ci vedremo in un teatro per ribadire che il muro si può abbattere, ma soprattutto per fare un nuovo passo avanti. La radicalità del nostro discorso, che resterà immutata, comincerà a tradursi in interlocuzione politica, in comunicazione, in dialogo permanente. Non ci riuniremo quindi per piangerci addosso o solo per gridare il nostro sdegno. Ma per trasformare una presa di posizione morale in una presenza pubblica, continuativa, non episodica. Perché il tempo del silenzio è finito.
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