Il confronto
Dc e Pd, quel confronto impossibile: l’abitudine persa di mettere i contenuti al centro
Forse è bene dirlo con chiarezza e senza equivoci ed ipocrisie. Non c’è alcun confronto possibile tra le storiche correnti della Democrazia cristiana con le correnti o i gruppi o le componenti o le bande organizzate del Partito democratico attuale. E questo per una ragione politica persin troppo semplice da spiegare. Le correnti della Dc erano componenti che rappresentavano pezzi di società, espressione di realtà profondamente radicate nei territori e alimentate da una cultura che affondavano le radici nel cattolicesimo politico italiano. Con tutte le sfumature e le diverse sensibilità che lo componevano e lo arricchivano.
Certo, esistevano anche lì zone d’ombra e situazioni alquanto discutibili. Sarebbe del tutto inutile negarlo. Ma, se non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio, quando ancora oggi si citano i principali leader e statisti della Dc – da Aldo Moro a Carlo Donat-Cattin, da Giulio Andreotti a Oscar Luigi Scalfaro, da Ciriaco de Mita ad Arnaldo Forlani, da Tina Anselmi a Flaminio Piccoli, da Emilio Colombo a Mino Martinazzoli per fare solo alcuni nomi – chiunque sa, anche quelli che si interessano solo distrattamente di politica, di chi stai parlando e, soprattutto, di quali mondi concretamente rappresentavano. Erano altri tempi? Certamente sì, e la storia non si ripete. Mai.
Le correnti della Dc
Ma le modalità concrete del far politica non si archiviano. E quando parliamo di “partiti plurali” – perché la Dc era un partito plurale e, come diceva sempre Bodrato, “la storia della Dc è la storia delle sue correnti” – le aree o le componenti interne hanno un senso se rappresentano interessi sociali e culturali precisi e definiti, se sono espressione di un pezzo di società che poi si riconosce nel progetto complessivo del partito e se, infine, hanno una classe dirigente che realmente incarna quella sensibilità politica e quella cultura. Queste erano, piaccia o non piaccia agli storici detrattori, le correnti della Democrazia Cristiana. E per chi, come me, è nato e cresciuto all’interno di quel contesto politico e di quel tessuto culturale – nel caso specifico alla scuola di Carlo Donat-Cattin nella “sinistra sociale” di Forze Nuove – quella cultura continua ad accompagnarti anche nella stagione politica contemporanea. Perché non erano correnti di tessere, di articolazioni di solo potere, di merce di scambio o via degenerando. No, possiamo quasi dire che erano “partiti nel partito” perché ognuna di esse conservava gelosamente la sua identità culturale specifica e la sua ragion d’essere politica nel contesto sociale e culturale dell’epoca.
Il Pd di oggi
Ora, cosa c’entra tutto ciò con le cosiddette correnti o gruppi o aree o bande del Pd attuale? E al di là e al di fuori di ciò che sta concretamente emergendo su quasi tutti gli organi di informazione. La risposta è semplice: assolutamente nulla. Perché da un lato c’era la politica e, dall’altro, c’è semplicemente il potere. Per questo motivo, se posso fare un solo appunto critico alla seppur brava, coerente e coraggiosa Elly Schlein, non è questione di regole, regolamenti, statuti o codici etici. Se si vuol realmente cercare di invertire la rotta – cosa che, purtroppo, nessun segretario nazionale del Pd è ancora riuscito a fare – si deve recuperare uno stile ed un costume che rimettano la politica, i suoi contenuti culturali e la sua rappresentanza sociale al centro dell’attenzione. Solo così si potrà ancora parlare di correnti all’interno del partito. E lo dico senza alcuna deriva moralista ma anche senza alcuna ipocrisia.
© Riproduzione riservata