Siamo in quel periodo dell’anno in cui solitamente, prima della tempesta pandemica, la politica non faceva più notizia. Passata la cerimonia del ventaglio, era un rompete le righe generale. Senatori, presidenti, segretari, ministri e sottosegretari vari, oggi non più con i vetusti portaborse bensì con gli spin doctor, i social media manager e i potenti portavoce, erano tranquilli al mare e in montagna, sotto l’ombrellone o a passeggiare lungo i sentieri dolomitici. Ma negli ultimi tre anni è cambiato tutto e sono andate smarrite anche le consuetudini del Palazzo.

Nel 2019 è stato Matteo Salvini a frantumare la sacralità agostana e richiamare sui banchi romani i parlamentari già da qualche giorno stesi sui lettini lungo le spiagge della penisola. Nel 2020, invece, a tenere banco è stata la tornata elettorale di settembre con le liste dei candidati da presentate subito la paura di Ferragosto. così come in questa estate sono le elezioni amministrative, ancora una volta “destagionalizzate” dal Covid, ad animare il dibattito politico sulle alleanze e i candidati e la tormentata ristrutturazione del Movimento Cinque Stelle in cerca di nuova un’identità e di altrettanto diversa leadership post–grillina. È in questo rovescio del calendario della politica italiana che si inserisce sintonicamente anche l’annuncio fatto dal presidente Vincenzo De Luca di voler dotare la (sua) Campania di una nuova legge elettorale che gli consentirebbe, nel 2025, di candidarsi per la quarta volta a presidente. Ma la sortita deluchiana è una logica conseguenza di quanto già anticipato dal posizionamento elettorale del 2020 allorquando lo Sceriffo ci rammentava di come con lui la Campania fosse «in mani sicure».

Se proviamo a sezionare il messaggio di De Luca, ci accorgiamo che rispetta appieno almeno tre – decisionismo, disintermediazione e leadership fideistica – dei cinque caratteri identitari che ritornano costantemente nelle forme della sua comunicazione. In primis, quando afferma che «entro l’anno sicuramente faremo la legge per il terzo mandato», De Luca sceglie ancora una volta la cornice narrativa del decisionismo esasperato, un recinto nel quale si trova a proprio agio sin dal suo primo mandato da sindaco di Salerno. Il suo appello diventa reale anche perché, oltre l’obiettivo finale, indica la scadenza, un termine che per risultare credibile dev’essere necessariamente immediato, una colla “a presa rapida”, l’unica che può andar bene per l’immaginario percettivo del politico che non si perde in chiacchiere.

Ancora, la proposta di riforma lanciata dal presidente ha spiazzato tutti – partiti e consiglieri regionali, di opposizione e di maggioranza – presi in contropiede dall’annuncio che, al pari di tante sue iniziative, sono veicolate con la modalità della disintermediazione del rapporto tra cittadini e istituzioni. In altri tempi, a lanciare un tema del genere sarebbe stato legittimamente il capogruppo del partito di maggioranza relativa, piuttosto che il presidente del Consiglio regionale o il segretario regionale di questo o di quel partito che rappresenta la maggior forza politica di riferimento. Non così nella Campania di De Luca che avoca a sé, senza chiedere il permesso, funzioni, ruoli, competenze.

È la disintermediazione elevata a comunicazione. In pochi, a parte la cerchia dei più stretti collaboratori, erano a conoscenza di una volontà revisione della norma, che se concretizzata muterebbe di tanto il quadro politico regionale.
Infine, questo processo di emarginazione di tutte le voci dissenzienti rispetto al pensiero unico deluchiano, necessario alla instaurazione di una leadership fideistica, prosciugherà in partenza ogni forma di discussione preventiva allargata della riforma alla quale affidare anche un riequilibrio del rapporto della rappresentanza regionale non più sostenibile tra area metropolitana e aree interne della Campania. Il rischio più evidente è che si licenzierà una nuova legge elettorale costruita unicamente a immagine e somiglianza di De Luca e non per incentivare la partecipazione dei cittadini o recuperare quel deficit di fiducia verso la politica.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).