L'orrore quotidiano
Duplice omicidio a Villa Pamphili: gli invisibili del parco, clochard accampati tra gli alberi e le ombre che Roma finge di non vedere

Roma ha sempre avuto il vizio di nascondere l’orrore sotto l’edera. Stavolta però non basta il profumo del gelsomino a coprire l’odore acre della morte. Dentro Villa Pamphili, il parco dei ricevimenti istituzionali, delle passeggiate borghesi e dei selfie bucolici, sono stati trovati i corpi di una donna e della sua bambina. Uccise. Sul posto. Con ogni probabilità da un uomo. Lasciate lì, a pochi metri dai luoghi in cui appena qualche settimana fa si stringevano mani reali e diplomatiche: Re Carlo d’Inghilterra, JD Vance, Erdogan.
Paradosso in piena luce
La Roma da esportazione, quella lucidata per i grandi eventi, si interrompe bruscamente tra i cespugli. Dove il backstage del Paese reale e le sue nuove fasce di emarginati evanescenti arrancano tra indifferenza e degrado, tornando a galla con la violenza di una molla compressa, calpestata per caso tra gli sterpi. Eppure, la vera notizia — la più amara — è un’altra: nessuno si stupisce davvero. Perché Villa Pamphili, come tante altre zone della capitale, è da anni un paradosso in piena luce. Da una parte il palcoscenico della grandeur governativa, dall’altra un’area grigia tollerata, ignorata, dimenticata. A duecento metri dalla foresteria di Stato vive una comunità stabile di senzatetto, in gran parte dell’Est Europa, accampata tra gli alberi in tende logore, invisibili ai radar istituzionali.
L’orrore quotidiano
È successo già altrove. Nella pineta di Ostia, per esempio, dove solo dopo un omicidio ci si accorse che era diventata un dormitorio all’aperto. Potrebbe succedere ogni giorno sotto Ponte Marconi, o nei pressi dell’Isola Tiberina, o lungo gli argini dimenticati del Tevere. Dove accampamenti improvvisati spuntano qua e là, autorizzati dallo smantellamento dei controlli, dei servizi sociali, dei presidi di sicurezza sul territorio. La responsabilità non può essere certo ascritta all’ultimo ente locale: se si pensa alla retorica vuota dei decreti Caivano, si può provare solo amarezza. Lo straordinario orrore nel cuore di villa Pamphili sembra non incluso nella casistica contabile del piccolo orrore quotidiano della periferia campana. Ma i provvedimenti non provvedono. Le misure non misurano. Le violenze sulle donne, le botte tra ubriachi, le coltellate si succedono senza che mai niente davvero succeda.
Roma è una città che convive con le proprie ombre, che finge di non vedere. Che celebra il suo “bello” a ogni angolo di Instagram, mentre il “brutto” fermenta a cento passi dai gazebo ministeriali. Il verde della retorica, il nero della cronaca. Kalos e Thanatos, come sapevano bene gli antichi greci: bellezza e morte camminano insieme, ogni giorno, nella città eterna. Poi arriva il fatto. L’urlo. Il sacchetto che diventa cadavere. La bambina uccisa tra i ciuffi d’erba. E Roma, colta in flagrante, si risveglia di soprassalto, ma solo per un attimo. Il tempo di cambiare inquadratura.
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