Se questo è un “Decreto semplificazioni”, come lo ha chiamato il Governo quando lo ha presentato lo scorso luglio, c’è un problema di logica, ma anche uno di lessico. Quello che ieri ha ottenuto la fiducia alla Camera e che ora passa al Senato, nelle intenzioni del premier Conte e del ministro dell’Economia Gualtieri doveva essere lo strumento per sbloccare le opere e far “ripartire l’Italia“. Invece nell’iter di trasformazione in legge in Parlamento il testo si sta trasformando in un’accozzaglia di norme degna dell’Azzaccacarbugli di Manzoni.

Qualcosa si salva, per carità: lo scorso 17 luglio, dopo la pubblicazione del Decreto in Gazzetta Ufficiale, sono entrate in vigore novità importanti. Procedure più rapide e snelle per investimenti e appalti pubblici, oltre che modifiche all’abuso d’ufficio (che ora si baserà solo sulla violazione di specifiche norme di legge da parte dei pubblici ufficiali ) e al danno erariale (con il dolo che diventa penale e non più civile). Peccato che una volta arrivati in Parlamento la maggioranza giallorossa abbia iniziato a mettere dentro di tutto, come si fa con i cosiddetti “decreti omnibus”: norme che vanno dal codice della strada all’università, passando per una complicazione burocratica della transizione al verde (che pure il Governo dice essere un suo obiettivo prioritario, soprattutto in chiave Recovery Plan). Ora gli articoli sono passati da 65 a 97 e i decreti attuativi che serviranno nei prossimi giorni per applicare la legge quasi raddoppiano: da 39 a ben 64. In pratica servirà un provvedimento attuativo ogni articolo e mezzo del testo.

Non sarà semplice portare a termine i Dpcm per individuare quelle infrastrutture chiave dove vanno nominati commissari per accelerare i lavori, anche se il viceministro alla Infrastrutture Giancarlo Cancelleri assicura che la lista di uomini e donne da incaricare è pronta. Ancora più difficile, sicuramente, sarà attuare senza tempi biblici il “Piano nazionale integrato per l’energia e il clima”, un documento che si aggiunge a molti altri, rischiando di rallentare i progetti green dell’esecutivo. Tra le altre cose questo piano prevede la nomina di altri commissari per la valutazione ambientale dei programmi nazionali di transizione energetica.

Non solo. Come hanno scritto su Repubblica Roberto della Seta e Francesco Ferrante (uno ex presidente di Legambiente e l’altro vicepresidente del Kyoto Club): “Le associazioni di rappresentanza delle aziende che producono energia pulita avevano presentato proposte chiare: semplificare le procedure necessarie per rinnovare i parchi eolici esistenti, per realizzare piccoli impianti idroelettrici e geotermici , per convertire gli impianti che ricavano elettricità dal biogas verso la produzione di biometano. Nulla di questo è stato accolto, in compenso sono state introdotte ulteriori facilitazioni per il comparto petrolifero: royalties più basse sulle trivellazioni a terra e in mare, meno vincoli autorizzativi per la costruzione di nuovi oleodotti“. Tutto questo in un Paese dove già “lo sviluppo delle energie rinnovabili è frenato da tante norme che appesantiscono senza fondato motivo i procedimenti autorizzativi“. Insomma, le novità annunciate dal ministro dell’Ambiente Costa non bastano.

Ciliegina sulla torta? Le norme attuative di questo decreto si aggiungono a tutte le altre di carattere economico da portare a traguardo a breve per il Governo. Quante sono? Circa 300.