Oggi, magari prima del consiglio dei ministri previsto alle 18. Al massimo domani. Bisogna comunque aspettare che i tre leader di maggioranza si decidano ad incrociare le agende per mettere fine a questo stucchevole romanzo d’appendice che è la storia delle candidature e delle contropartite in quel sondaggio interno che sono le elezioni – amministrative, regionali ed europee – che iniziano il 25 febbraio e si concluderanno il 9 giugno (con qualche coda in autunno). Da via Bellerio, dove Matteo Salvini ha convocato il Consiglio Federale della Lega, non è uscito alcun chiarimento sulla Sardegna ma indicazioni utili e spunti chiarificatori. La riunione, cui hanno partecipato anche i presidenti di regione, aveva all’ordine del giorno le “questioni politiche”. Cioè candidature e strategie, per le amministrative ma anche per le Europee.

Anzi, soprattutto per queste. Ma cominciamo dalle prime. Ormai è chiaro lo schema che Giorgia Meloni ha condiviso giovedì scorso, che è stata l’unica volta che i leader si sono incontrati: i pesi interni alla maggioranza sono cambiati; Fratelli d’Italia vuole pesare per quello che vale oggi e non quattro anni fa e quindi tre volte i suoi alleati. Un compromesso possibile potrebbe essere il seguente: due regioni a Fratelli d’Italia, cioè Sardegna (25 febbraio) e Abruzzo (10 marzo), una alla Lega (Umbria, già governata dalla leghista Tesei), una a Forza Italia (Piemonte, già governata e con buon successo dall’azzurro Cirio). Resta una quinta regione, la Basilicata (al voto a giugno insieme al Piemonte) che per non penalizzare o avvantaggiare nessuno, potrebbe essere affidata ad un civico, un profilo di area ma non di partito. Questo schema comporta che la Lega faccia un passo indietro rispetto all’uscente Solinas che è del Partito sardo d’azione, vanta ottime amicizie nella Lega e non ha alcuna intenzione di mollare. Anzi, ha già presentato il suo simbolo. Come del resto hanno fatto Fratelli d’Italia con il sindaco di Cagliari e candidato di Giorgia Meloni Paolo Truzzu che sabato ha iniziato la campagna elettorale. E come ha fatto Alessandra Zedda, assessore di Forza Italia. Il caos. Rispetto al quale ciò che più conta non sono i nomi ma il metodo. “Salvini ha il terrore – dicono fonti della Lega – che mettendo in discussione l’uscente, in questo caso Solinas, si apra la diga. E a quel punto diventerebbe impossibile gestire l’onda meloniana con le sue pretese che già oggi sono giorno dopo giorno sempre più rapaci”.

Il non detto che tutti temono si chiama Veneto. Qui lo scenario merita qualche riga a parte. Il prossimo anno, nel 2025, scade il governatore leghista più amato, Luca Zaia. Salvini vorrebbe blindarlo con una legge ad hoc che consenta il terzo mandato e al tempo stesso non metta Zaia sul mercato nazionale dove potrebbe essere un suo serio competitor. Un ddl ad hoc è già stato presentato ma la premier ha fatto capire all’alleato “guarda che così non ci leviamo più di torno né De Luca in Campania né Emiliano in Puglia”. In ogni caso Fratelli d’Italia parla già, senza alcuna scaramanzia, di Luca De Carlo, senatore e presidente della Commissione agricoltura, come prossimo governatore del Veneto. Bisogna essere molto sicuri e padroni della situazione per fare previsioni così nette ad un anno di distanza. Soprattutto in politica. Anche Antonio Tajani è molto poco soddisfatto rispetto allo schema di Giorgia Meloni. Dal suo punto di vista c’è da capirlo e quindi giù le mani da Vito Bardi, attuale governatore della Basilicata e questa idea del candidato civile, senza bandiera di partito, gli sembra un fuor d’opera di cui non si sente il bisogno. Poiché il Veneto è una partita dell’anno prossimo per cui faranno fede i risultati di questo lungo e tormentato turno elettorale, ciò che va ripetendo Meloni è che intanto si va avanti così, con lo schema di cui sopra, che è comunque molto generoso con gli alleati rispetto agli attuali pesi specifici interni: Fratelli d’Italia stimata tra il 28 e il 29%; Lega tra il 9 e il 10%; Forza Italia tra l’8 e il 9%. Parliamo di un rapporto 3 a 1 che resta sottovalutato rispetto alla prevista guida di due regioni importanti (ad esempio la Sardegna e l’Abruzzo).

Il Federale si è chiuso con un nulla di fatto sulle regionali. Ma Salvini ha ricevuto due messaggi chiari. Il primo: caro Matteo, occhio che “è difficile fare la campagna elettorale uniti e pancia a terra dopo che ti hanno tagliato la faccia (con il voltafaccia su Solinas dopo che Salvini lo aveva candidato, ndr)”. Il secondo: “Se molliamo adesso, poi Meloni farà quello che vuole”. I sondaggi interni della Lega non sono buoni. Finirà come deve: vincerà Meloni, in Sardegna correrà Truzzu. Ma siamo sicuri che riuscirà a vincere dopo sgarri e divisioni? Nel centrosinistra la situazione non è migliore. Il 25 febbraio è tra quaranta giorni. Il Federale ha affrontato anche il nodo europee. “Chi divide magari dicendo no ad alleanze con Marine Le Pen fa il gioco della sinistra”, ha detto Salvini. Qui la situazione è ancora più complicata. Nel 2019 la Lega ha portato a Strasburgo oltre trenta eurodeputati. È realistico ipotizzare che a giugno ne riuscirà ad eleggere nove. Questo il numero circolato ieri nei capannelli prima, dopo e durante il Federale. Il problema è che per avere voti, Salvini avrebbe deciso di ospitare nomi di richiamo come Gianluigi Paragone e il generale Vannacci, signori di voti e delle tessere. Il sottosegretario Durigon sarebbe in missione al sud per conto di Matteo in cerca di nomi sicuri. Questo provocherà però molto scontento nella base. A cui è stato anche un messaggio chiaro: “La nostra linea Maginot è l’8,7, il risultato delle politiche. Non possiamo andare sotto”. Non sarà facile.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.