Aiuto, mi si è ristretto il campo. Non si tratta di problemi ottici né geometrici, o forse sì: di entrambi. Perché il perimetro del centrosinistra si estende e si riduce, si dilata e si restringe a seconda dell’ottica, del momento e delle opportunità. Di base, secondo la dottrina Franceschini, che l’ha a sua volta mutuata da Goffredo Bettini che la aveva concertata con D’Alema, M5S e Partito Democratico devono marciare sempre insieme. Costituire una sinergia indissolubile. Ieri se n’è fatto portavoce Andrea Orlando: “Tutte queste chiacchiere sul campo largo… chiamiamolo ‘campo per la sanità pubblica’”, ha tagliato corto. Non una definizione ma una direzione, un tema capace di unire. Perché alla fine di questo si tratta: capire se quel che unisce è più di quel che divide. Dall’ottica con cui lo si guarda, appunto.

Il caso Sardegna ha visto uno dei soggetti fondatori del Pd, Renato Soru, chiedere le primarie per determinare il candidato governatore. La segretaria eletta con le primarie, Elly Schlein, ha risposto che di primarie per le regioni non se ne parla: si decide tutto a Roma. E così per lAbruzzo, la Basilicata, il Piemonte e l’Umbria. Se il metodo è sostanza, chi deve tutto ai gazebo ha deciso di abolirli. E per siglare accordi di vertice tra Nazareno e Campo Marzio, dove ha sede il quartier generale contiano, non c’è bisogno di consultarsi con altri. Il punto è che una volta assodato il sodalizio, il tandem Schlein-Conte, si conferisce anche a quest’ultimo il potere di veto sugli altri soggetti. Potere che esercita a ogni pié sospinto.

Lo ha fatto, scivolando in diretta, a L’Aria che Tira su La7 quando ha emanato l’ennesimo diktat: “Mai con Italia Viva”. Sollecitato da David Parenzo, Conte ha argomentato: “Non dobbiamo stare uniti con il Partito Democratico come fatto fine a se stesso, ma per costruire progetti seri e credibili. Ed è quello che abbiamo fatto sempre”. E quando il giornalista gli fa notare che in Abruzzo si è invece formata un’alleanza molto larga che comprende anche Matteo Renzi e Carlo Calenda, il leader del Movimento ha scosso il capo: “No, non mi risulta una coalizione con Renzi e Calenda. Mi dicono che ci sono alcune figure politiche che si raccordano a loro. Ma, per quanto riguarda le sigle, sono forze politiche collaudate e forze civiche”. Falso: Italia Viva integra la lista Abruzzo Vivo – il riferimento, ancorché declinato, è esplicito – e il simbolo inscritto nel cerchio, sotto la dicitura “D’Amico presidente” è proprio quello di Italia Viva. Conte non può non saperlo. O vuole dire di non aver visto quali sono i sottoscrittori della candidatura abruzzese?

Il campo largo a sostegno di D’Amico è larghissimo. Include uno schieramento che va dall’estrema sinistra ai centristi. I veti, nella regione appenninica, sono caduti. O meglio, non ci sono mai stati. “Ora parliamo di Abruzzo, perché si vota lì. Poi parleremo di Piemonte e Basilicata”, dice Conte provando a schivare le domande sul campo largo lucano. Si spazientisce uno che a Conte era stato vicino, il dem Roberto Speranza. L’ex-ministro che ha diviso con Giuseppe Conte, gomito a gomito, la gestione dell’emergenza Covid. Oggi Speranza, che è lucano, si è rivolto direttamente a Conte per superare lo stallo nella sua regione e chiudere l’accordo sulla candidatura di Angelo Chiorazzo, civico e re delle coop bianche. “Chiedo più generosità a Conte e chiedo con insistenza ai 5 Stelle di confrontarsi nel merito. Se ci sono questioni non risolvibili, ok. Altrimenti siamo al pregiudizio e questo non è accettabile”. Un appello che ha i toni dell’ultima chiamata, o giù di lì.

Del resto il tempo stringe: in Basilicata si vota il 20 aprile e entro venti giorni vanno chiuse le liste. Ma Conte chiede in sostanza al PD di ripartire da zero nella regione, esprimendo tutte le sue perplessità a partire dal metodo: “In Basilicata è stato indicato unilateralmente un candidato. Io ho sempre detto che si converge prima sui temi, sui progetti, e dopo si trova l’interprete migliore”. Per Speranza quell’’interprete migliore’ è già in campo: “Io ritengo che Chiorazzo sia il candidato il più forte di tutti. Mi auguro che si superino le resistenze e le incomprensioni. Mi sembrano più pregiudizi, che giudizi. Si sono mai seduti, confrontati nel merito? E chiedo anche al presidente Conte di avere più generosità”. La stessa che ha dimostrato il PD sul sostegno a Alessandra Todde: un sostegno “costato molto” ai dem con la “mini scissione” di Renato Soru. “Quando si fanno gli accordi è chiaro che ci sono difficoltà, ma questa reciproca consapevolezza che insieme siamo più forti, credo vada vissuta in tutte le aree possibili”.

Conte, da parte sua, lascia aperta la trattativa. Su Basilicata e Piemonte, ha detto ieri in Senato, “ci stiamo assolutamente lavorando e cercheremo di favorire accordi ovunque possibile’’. Però prima ci sono elezioni del 10 marzo a cui dare la priorità: “Ma adesso parliamo di Abruzzo perché è la competizione più imminente e dobbiamo assolutamente concentrarci con tutto il nostro impegno e tutta la nostra credibilità’’. Potrebbe essere una partita più aperta di quanto si pensasse fino a poco tempo fa. Il leader M5S sarà oggi nella regione a sostegno di Luciano D’Amico, per una prima giornata di campagna elettorale, a cui seguiranno altre nei prossimi giorni. Conte mette dunque prima l’Abruzzo, mentre già sabato ci sarà la Potenza a Direzione regionale del Pd lucano e da Roma arriveranno il responsabile Enti Locali della segreteria Schlein, Davide Baruffi e con lui il responsabile Organizzazione, Igor Taruffi. Una riunione che potrebbe segnare uno spartiacque, in un senso o nell’altro. I dem ritengono la regione contendibile, a patto ovviamente che il centrosinistra si presenti unito.

Più difficile la partita in Piemonte, dove andare divisi sarebbe quasi una vittoria a tavolino data a un centrodestra già competitivo. Eppure al momento, la possibilità di un’intesa resta ancora remota e il percorso tutto in salita per dissapori e distanze ormai cristallizzate nel tempo a livello locale. Intanto il pressing del Pd va avanti. “Non è tardi: se in Piemonte ancora non si è chiuso sui candidati, in Basilicata auspico una ricomposizione del cosiddetto campo largo”, dice Andrea Orlando. Mentre Stefano Bonaccini fa leva sulla ‘generosità’ mostrata dal Pd in Sardegna: “Devo dire complimenti alla segretaria del nostro partito, perché Elly Schlein ci ha creduto dall’inizio, ci si è spesa con generosità e, credo, anche i Movimento 5 stelle debba riflettere su questa generosità che il Partito democratico ha dimostrato”. E sempre Bonaccini però metti agli atti che l’asse Pd-M5S non basta, specie al Nord: “Io penso alleanza Pd e Movimento 5 Stelle, da soli, in questa parte in particolare del Paese, non basti e quindi bisogna lavorare quando si dovrà tornare a votare in regioni importanti. In Abruzzo, dove si vota tra due settimane, c’è unità di tutto il centrosinistra a sostegno dell’ottima candidatura di Luciano D’Amico, con una coalizione ampia che va dalla sinistra ad Azione e Italia viva, passando per Pd e 5 Stelle. È un fatto estremamente positivo che va esteso, superando contrapposizioni e veti personali incomprensibili. Invece della competizione interna nel centrosinistra, costruiamo l’alternativa per battere la destra nei territori e per tornare al governo del Paese quando si tornerà a votare”.

Per un Pd che prova a mettere insieme tutto, c’è sempre un Calenda che s’attarda nei distinguo. Lo abbiamo seguito su Twitter, suo campo da gioco preferito. “Su amministrative e regionali una convergenza con le altre forze politiche va trovata, valutando la qualità del candidato e del programma”, ha scritto. E poi se la prende con i Cinque Stelle: “Tuttavia, la nostra linea a livello nazionale non cambia: non entreremo nel campo largo perché le distanze su temi fondamentali come la politica estera non sono colmabili”. Il campo largo va bene quando è ristretto, cioè a livello locale. Un’illusione ottica da caleidoscopio. Anzi: Calendoscopio.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.