Si può celebrare il 25 novembre elencando con stanca precisione i numeri del fenomeno planetario della violenza di genere e quelli registrati in Italia, oppure si può fare uno sforzo di immaginazione e pensare un mondo senza la violenza contro le donne. Per fare questo il 25 novembre la parola chiave dovrebbe essere eliminazione, e non contrasto, della violenza contro le donne. Chi non crede che questo sia un obiettivo realistico ha già perso la battaglia anche se è appena iniziata.

Se è vero, infatti, che l’Italia si è data una legislazione di buon livello per la prevenzione e la repressione della violenza di genere, è vero anche che il fenomeno, soprattutto nella sua forma più grave, il femminicidio, non accenna a diminuire ed è anzi aumentato.
Qualche timido segnale di miglioramento viene dai numeri che registrano le altre diffuse violenze contro le donne, cioè quella psicologica, economica e sessuale. Ma se le leggi, per quanto ben pensate, non arrestano il fenomeno, significa che non possono bastare e chi pensa che l’argine per fermare un fenomeno di così vasta portata si costruisca nella Gazzetta Ufficiale, forse non ha riflettuto abbastanza sul potere delle leggi.

O forse ci ha riflettuto, ma pensa che l’effetto propagandistico delle riforme a costo zero sia sufficiente a nascondere l’assenza di politiche sociali adeguatamente finanziate e attuate. Eppure esistono esempi concreti di prassi virtuose ed efficaci. Ad esempio dal 2003 al 2010 i femminicidi nel Regno Unito sono scesi da 49 all’anno a 5, senza bisogno di epocali riforme ma mettendo a punto il cosiddetto metodo Scotland che prende il nome dalla Ministra che lo ha pensato e attuato. Si tratta di un sistema di coordinamento di politiche sociali finalizzato a creare una rete di effettiva protezione intorno alle donne minacciate o vittime di violenza, con cui si è perfino riusciti, con la partecipazione attiva degli imprenditori, a ridurre di molto le giornate di lavoro perse per le assenze dovute alle violenze patite dalle lavoratrici.

Una volta che le donne sanno di essere effettivamente protette, non solo dalle forze dell’ordine, ma anche dalla rete di protezione che mette loro a disposizione un consigliere volontario con il compito di assisterle, seguirle e condurle individualmente nel percorso di uscita dalla violenza, cominciano a fidarsi del sistema, a denunciare e a liberarsi. Rifiutare l’ultimo appuntamento, non tornare a casa dopo la fuga, non credere alle promesse di cambiamento, può essere scontato per chi non sia mai stato vittima di violenza sistematica, ma non lo è affatto per le donne intossicate dal veleno della denigrazione, delle lusinghe e delle minacce che il partner gli ha instillato. Dalla violenza di genere non si esce da sole, servono reti di protezione effettiva, quotidiana, costante e di giusta durata. Eliminare la violenza contro le donne è possibile, ma non bastano le parole.