Enrico Berlinguer è stato tante cose. Un punto di riferimento trasversale. Il comunista che riusciva a mettere d’accordo gli avversari. Lo stile calmo e sobrio, il carattere mite ma deciso, il sorriso malinconico e speranzoso, i modi da uomo perbene, non potevano lasciare indifferenti nemmeno gli opposti schieramenti politici. Probabilmente è anche grazie a queste caratteristiche umane che Moro trovò in lui il riferimento ideale per mettere in campo un progetto politico senza precedenti, tentando di avvicinare mondi apparentemente antitetici.

Enrico Berlinguer nasce a Sassari, in Sardegna, nel 1922. Ha una formazione classica; frequenta la facoltà di Giurisprudenza della sua città, senza però completare gli studi. Dalla stessa città proviene anche un altro protagonista indiscusso della nostra Repubblica, nonché cugino di Berlinguer: Francesco Cossiga. Il giovane Enrico si iscrive al Partito Comunista Italiano nel 1943 e dirige la sezione giovanile a Sassari. Conosce Togliatti l’anno successivo mentre accompagnava a Salerno suo padre, che era stato compagno di liceo del leader comunista.

Non impiega molto a fare colpo su Togliatti e a trasferirsi a Roma per lavorare come funzionario nel PCI. Nel 1946 diventa segretario del Fronte della Gioventù e riesce addirittura ad avere un breve incontro con Stalin a Mosca. È una continua scalata nel partito quella di Berlinguer, che viene nominato prima segretario della FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana) e poi ottiene il suo primo incarico internazionale con la nomina al vertice della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica.

La carriera fulminea del ragazzo sardo ha una brusca frenata negli anni ’50 quando conclude la sua avventura alla segreteria della FGCI, che nel frattempo aveva perso migliaia di iscritti. Berlinguer si sposa e torna a vivere così nella sua Sardegna, a Cagliari, dove ricopre incarichi regionali. Rimane pochissimo però lontano da Roma perché Togliatti lo richiama per andare a far parte della direzione centrale del partito.
Nei primi anni ’60 le posizioni di Berlinguer si fanno notare per le crescenti rivendicazioni di autonomia rispetto alle decisioni del partito comunista sovietico. Il 1964 è un anno importante.

Togliatti muore e il segretario del PCUS Chruscev viene messo alla porta in circostanze poco limpide. Berlinguer vuole dei chiarimenti in merito e decide di recarsi a Mosca, dover ribadisce le sue perplessità sul modus operandi del partito.

Alle elezioni politiche del ’68 l’ottimo risultato personale e del partito proiettano Berlinguer verso la segreteria del PCI, ottenuta nel 1972 dopo aver battuto nel derby interno il futuro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

L’anno successivo Berlinguer è a Sofia, dove era andato a trovare il capo di Stato della Bulgaria, quando un camion militare investe la sua macchina diretta all’aeroporto. Berlinguer è vivo per miracolo. Due dirigenti del partito rimangono gravemente feriti e l’interprete muore. Soltanto molti anni più tardi Emanuele Macaluso rivelò che per Berlinguer quello di Sofia non fu un incidente ma un attentato. Il politico sardo era diventato infatti un soggetto scomodo per Mosca e non è un segreto che lui stesso si aspettasse qualche ritorsione.

Il nome di Berlinguer, come accennato prima, è associato al progetto politico di avvicinamento alla DC. Un disegno e un desiderio che lo accomunava ad Aldo Moro e che iniziò ad emergere già da alcuni articoli del leader comunista agli inizi degli anni ’70:
“Sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare, questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51 per cento. Ecco perché noi parliamo non di una alternativa di sinistra ma di una alternativa democratica, e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari d’ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico”.

Mi paiono parole sufficienti per comprendere la chiarezza della dichiarazione di intenti di Berlinguer. Il segretario del PCI aveva capito che per realizzare concretamente le riforme che aveva in mente e di cui il Paese aveva bisogno, non si poteva prescindere dalla collaborazione con la Democrazia Cristiana. Come sappiamo, l’idea dell’ingresso a pieno titolo dei comunisti al governo ventilata da Moro, naufraga con il rapimento e l’uccisione del presidente democristiano.

Berlinguer continua il suo impegno sulla strada di quello che lui stesso definì eurocomunismo e che porta il suo PCI ad un progressivo allontanamento e quindi a un definitivo strappo con Mosca. Il politico sardo arriverà a dire in un’intervista a Giampaolo Pansa di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della NATO, non senza tuttavia evidenziare dubbi e criticità. È comunque a mio avviso indicativo il fatto che il leader del maggior partito comunista occidentale arrivi in qualche maniera a rinnegare l’Unione sovietica, aprendo le porte all’europeismo e all’atlantismo. In questo credo si sia visto tutto il pragmatismo e la lungimiranza di Enrico Berlinguer. Non rimane indifferente rispetto al marcio della politica italiana del tempo, che lui stesso denuncia in una storica intervista su Repubblica a Scalfari, ponendo il tema della questione morale.

A proposito di interviste leggendarie; nel 1983, durante una puntata di Mixer, Berlinguer spiazza tutti con una risposta apparentemente semplice ma che è rimasta impressa nell’immaginario collettivo. Alla domanda di Gianni Minoli su quale fosse la qualità a cui è più affezionato, il segretario comunista risponde: “Quella di essere rimasto fedele agli ideali della mia gioventù”.

Berlinguer nasce e muore facendo politica. L’anno successivo si trova a Padova per un comizio in vista delle elezioni europee. Mentre parla è costretto a fermarsi anche se non vorrebbe. Lo colpisce un ictus che qualche giorno dopo, l’11 giugno del 1984, lo porta a spegnersi. L’eredità umana e politica di Enrico Berlinguer è consegnata alla storia ed è ancora viva, per quanto nessuno finora sia riuscito appieno a raccoglierne il testimone, o quantomeno ad avvicinarsi all’immagine di quell’uomo esile e determinato, in grado di trascinare intere folle senza eccessi e che rimarrà per sempre nella mente degli italiani.

“Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita”
Enrico Berlinguer

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Nato a Cosenza 27 anni fa, vive a Roma dal 2015. Ha lavorato come giornalista tirocinante presso Mediaset RTI, nella redazione politica di News Mediaset (Tg4, StudioAperto, TgCom24). È laureato in Filologia Moderna alla Sapienza e ha conseguito il Master in Giornalismo radiotelevisivo con Eidos Communication. Si occupa di giornalismo politico. Redattore di Radio Leopolda, collabora alla Camera dei deputati. Ha scritto un libro su Giulio Andreotti. È fortemente interista, ma ha anche dei difetti