La mente della caduta di Assad
Erdoğan unico dominus del caos siriano: due le priorità del sultano, l’unico rebus è il dialogo con i curdi
Ankara ha già creato un modello di governance nel nord dopo le operazioni contro lo Stato islamico Ma l’accesso alle risorse è controllato dalle Forze democratiche siriane (SDF) a guida curda sostenute dagli Stati Uniti nei territori orientali (responsabili nel minare il governo di Assad)
Il compito della Turchia, dopo la caduta di Assad, sarà quello di contribuire a ristabilire l’ordine pubblico e un governo di transizione che possa garantire il ritorno dei rifugiati in patria in piena sicurezza. Già migliaia di siriani già sono in fila ai cancelli del confine turco per fare ritorno in Siria, dal momento che con la cacciata di Assad, della Russia e dell’Iran con le sue diramazioni vedono ora un’opportunità per la nascita nel loro paese di una democrazia basata sulla giustizia che garantisca i diritti di tutti.
La caduta del governo ha sorpreso solo coloro che non erano attenti a quanto è accaduto in quest’ultimo anno in Siria.
Il mese scorso, l’esercito turco aveva consentito solo un’operazione limitata da parte dei gruppi di opposizione armata siriana allineati con Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) per esercitare pressione su Assad e i suoi alleati iraniani che intendevano riprendere anche l’ultima provincia nel nordovest della Siria in mano ai ribelli. La motivazione principale dietro questa offensiva delle forze di opposizione erano stati i ripetuti attacchi delle forze governative siriane nelle aree residenziali di Idlib, che spingevano regolarmente i civili verso il confine turco. Il tempo era maturo, con la Russia totalmente impegnata nella guerra in Ucraina, e Hezbollah ed Iran drasticamente depotenziati. Inoltre, gli Stati Uniti si trovavano in un periodo di transizione, con il presidente eletto Donald Trump pronto a entrare in carica il mese prossimo.
Ankara stava valutando un’operazione limitata per proteggere la piccola ma strategicamente importante area curda di Tal Rifaat mentre HTS lanciava la sua offensiva. Sebbene Jolani sia un uomo indipendente, questa operazione indica chiaramente la presenza di una mente dietro le quinte: quella turca. Per anni, la Turchia ha lavorato per moderare HTS, sfruttando la sua influenza per tenere a freno il gruppo. Gli osservatori notano che la linea dura di Jolani si è gradualmente ammorbidita dall’accordo di Astana del 2017, quando le forze turche entrarono per la prima volta a Idlib per imporre un cessate il fuoco. Ankara ha pagato un prezzo elevato nel corso degli anni per essere stata l’unico stato regionale a sostenere sistematicamente l’opposizione siriana, sia politicamente che economicamente.
La Turchia ora ha due priorità in Siria: facilitare la riconciliazione tra i vari gruppi armati di opposizione siriana che operano nelle regioni da Idlib a Deir Ezzor fino al confine con l’Iraq e assistere nella costituzione di un governo ad interim che rappresenti tutte le fazioni politiche del Paese. Ankara ha già creato un modello di governance nella Siria settentrionale in seguito alle sue operazioni contro il gruppo dello Stato islamico e le forze curde. Questo modello comprende il governo siriano ad interim, l’Esercito nazionale siriano (SNA), la governance locale basata sulle assemblee e un’economia locale integrata. La Turchia condividerà questa esperienza col governo di transizione nella Siria post-Assad. Si prevede che anche le istituzioni statali turche svolgeranno un ruolo diretto nel supportare il governo di transizione nel prossimo futuro.
Un governo di transizione incentrato su Damasco dovrà affrontare questioni chiave come l’accesso alle risorse energetiche, alle riserve idriche e alle aree agricole. Molte di queste risorse, controllate dalle Forze democratiche siriane (SDF) a guida curda sostenute dagli Stati Uniti nella Siria orientale, che è stato un fattore significativo nel minare il governo di Assad. HTS potrebbe potenzialmente negoziare con le SDF, dominate dalle forze curde, per l’accesso alle risorse, come il carburante dai giacimenti petroliferi vicino a Deir Ezzor. La Turchia, si sa, non tollererebbe il controllo delle SDF nelle città chiave all’interno delle aree a maggioranza araba. Ci si aspetta che Ankara possa decidere di lanciare operazioni militari nel prossimo futuro per rimuovere le SDF, che considera un gruppo terroristico a causa dei legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), dal suo confine sudorientale nel nordest della Siria.
Un altro problema critico per la Turchia è il ritorno di oltre tre milioni di rifugiati siriani che attualmente risiedono all’interno dei suoi confini. Circa il 55 percento dei rifugiati proviene dalla regione di Aleppo, un polo industriale. I funzionari siriani hanno recentemente annunciato che le fabbriche di Aleppo hanno iniziato a riaprire. Ankara ha già pensato a istituire corridoi logistici che collegano aree come Tal Rifaat e Aleppo con Gaziantep in Turchia, favorendo l’integrazione economica. Questo potrebbe attrarre investimenti per supportare il ritorno dei rifugiati siriani.
C’è un ampio consenso sul fatto che la Siria richiederà una ricostruzione estesa, la necessità di ricostruire due milioni di case e ripristinare le infrastrutture di base, che prevedono un costo fino a 360 miliardi di dollari. L’Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC) e i paesi del Golfo svolgeranno probabilmente il ruolo di donatori chiave durante questa fase di ricostruzione, con Ankara che coordinerà e guiderà gli sforzi. Oramai il pallino del gioco siriano è dei siriani e della Turchia.
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