Abolire l’ergastolo, specialmente quello ‘ostativo’, resta un atto di civiltà. È una voce maggioritaria quella dei professori di diritto penale, italiani e stranieri, contrari a qualsiasi forma di ergastolo, ancor più se ‘ostativo’: è il primo risultato di una ricerca internazionale, promossa dall’Istituto di studi penalistici “Alimena” dell’Università della Calabria e diretta dai professori Mario Caterini, Emilio Dolcini, Giovanni Fiandaca, Sergio Moccia e Giorgio Spangher, dall’Italia, nonché da Nilo Batista (Brasile), José de Faria Costa (Portogallo), Dirk van Zyl Smit (Regno Unito) e Raúl Zaffaroni (Argentina), tra i nomi più illustri della penalistica internazionale.

Un gruppo di studiosi che ha lavorato sul tema dell’ergastolo nel diritto comparato e a cui hanno aderito ben 66 professori da Università dei cinque continenti. Da tutta Europa, dal Messico al Sud Africa, dalla Cina all’America Latina, dalla Russia agli Stati Uniti, sino all’Australia: con voce nettamente maggioritaria dicono di ‘no’ alla pena perpetua.  Per ben il 60% di loro è da rifiutare qualsiasi forma di ergastolo, invece il 34% ne respinge solo alcune forme, facendo riferimento a quelle irriducibili e fisse, mentre solo per il restante 6% l’ergastolo è accettato in tutte le sue forme. Il dato è emerso dall’analisi di un questionario: trentaquattro domande in cui è stato chiesto l’ordinamento giuridico di riferimento e come in questo fosse regolata la punizione dell’ergastolo, oltre che le loro opinioni sull’utilizzo della pena perpetua per sanzionare i reati più gravi. La gran maggioranza si è espressa nettamente in senso contrario, sia sotto il profilo della legittimità dell’ergastolo, sia sotto il profilo della sua opportunità politico-criminale, ritenendo questa pena non in grado di raggiungere l’effetto deterrente che i legislatori sperano. Anche la maggior parte dei professori italiani, in particolare, si è espressa in tal senso, mentre le posizioni di maggiore approvazione dell’ergastolo vengono dagli studiosi di Paesi come la Russia e la Cina, dove – come è noto – vi è anche la pena di morte.

Viene in mente ciò che centocinquanta anni fa scriveva Francesco Carrara, che addirittura utilizzava l’ergastolo per dimostrare l’inopportunità della pena di morte, perché il primo sarebbe di maggiore deterrenza rispetto alla seconda, in quanto più afflittivo perché non si consuma immediatamente, come la pena capitale, ma costituisce uno ‘strazio’ perenne. Se così fosse, questo, oggi, sarebbe argomento a favore dell’illegittimità dello stesso ergastolo, perché non si potrebbe ammettere una pena addirittura più afflittiva, più atroce della morte. Un’idea, quella di elaborare un progetto tanto complesso, che nasce dal desiderio dell’Accademia italiana di offrire una lettura quanto più completa del tema dell’ergastolo. La ricerca dell’Istituto “Alimena”, infatti, proseguirà attraverso il lavoro di sei équipes di studiosi che, partendo da diverse posizioni, avranno proprio il compito di verificare o falsificare in contradditorio le tesi di partenza.

Si avverte una certa preoccupazione da parte dei professori: la Corte costituzionale potrebbe aver perso un anno di tempo e questo perché il Parlamento sembra andare oltre i paletti posti dall’ordinanza 97/2021. I disegni di legge, infatti, appaiono elaboratori, più che per adeguarsi a quanto dettato dalla Consulta, per continuare a garantire un netto margine di ‘ostatività’. L’apprensione è su più fronti. Il rischio che si corre è alto: dopo aver allungato il tempo per accedere ai benefici, fissato in 30 anni, verrà data la possibilità di goderne solo a chi riuscirà a provare di aver interrotto qualsiasi legame con il gruppo criminale. Una prova che, da un lato, sembra ispirarsi a una specie d’inversione dell’onere, stando al contraddittorio principio da tempo affermato dalla stessa Corte secondo cui l’ergastolo è legittimo fin tanto che è non è a vita, e, dall’altro, una prova davvero assai difficile da rendere per chi vive tra le mura di un carcere per tutto quel tempo, che tuttavia potrebbe essere facilmente aggirata e confutata dall’accusa.

E, poi, sparendo la c.d. collaborazione impossibile, i benefici verrebbero negati non solo quando sia accertata «una limitata partecipazione al fatto criminoso», ma anche quando la collaborazione offerta risulta irrilevante. Così posto, appare piuttosto chiaro, che continueranno a essere concessi i benefici solo a chi collabora. Ciò dimostra la distanza, in alcuni casi notevole, che passa tra le scelte compite dal nostro legislatore e quelle della scienza giuridica che, dalla ricerca richiamata, sembra nettamente contraria alle opzioni di politica criminale che stanno emergendo in Italia in tema di ergastolo.