1. L’11 maggio 2021 la Corte costituzionale ha giudicato l’ergastolo ostativo incompatibile con la Costituzione (ord. n. 97/2021). Eppure oggi, a distanza di dodici mesi, si tiene a Palazzo della Consulta una nuova udienza pubblica sulla medesima quaestio: perché? Che cosa c’è da decidere ancora? La risposta sta tutta nella distanza tra forma e sostanza giuridica. Un anno fa la Consulta ha accertato l’incostituzionalità di una pena perpetua cui è possibile sottrarsi solo collaborando utilmente con la giustizia, ma non l’ha formalmente dichiarata.

Facendo leva sui propri poteri di gestione del processo costituzionale, ha rinviato la trattazione della causa di un anno esatto, per consentire al legislatore gli interventi necessari a modificare adeguatamente l’attuale art. 4-bis ord. penit. Invocando esigenze di collaborazione istituzionale, la Corte ha così regalato al Parlamento «un congruo tempo per affrontare la materia», riservandosi di «verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte». Ora quel tempo è scaduto, e la palla torna nella metà campo dei giudici costituzionali.

2. In gergo, si chiama «incostituzionalità differita». In passato, tale tecnica è stata adoperata nel giudicare la costituzionalità dei reati di aiuto al suicidio (ord. n. 207/2018) e di diffamazione giornalistica (ord. n. 132/2020). In entrambi i casi, rimasto inerte il legislatore, l’esito è stato coerentemente obbligato: alla ripresa del processo, la Consulta ha dichiarato illegittime le norme in esame (sentt. nn. 242/2019 e 150/2021).

Sono due precedenti simili, ma non identici alla vicenda odierna. Questa volta, infatti, la Camera ha approvato una riforma in materia di accesso ai benefici penitenziari nel caso di condanna per reati ostativi, ora all’esame del Senato (A.S. n. 2574). Dunque, non c’è ancora una legge nuova ma neppure c’è stata una totale inerzia parlamentare. Valorizzando la novità, l’Avvocatura dello Stato ha chiesto alla Consulta «di voler, ove possibile, disporre il rinvio» dell’udienza odierna per consentire la prosecuzione e la conclusione dell’iter legislativo. Il nodo processuale è tutto qui: dichiarare oggi quanto già accertato ieri oppure rinviarlo di nuovo a un altro domani?

3. Forse, la risposta alla domanda che circolerà tra i giudici costituzionali («Come ne usciamo?») sarà quella suggerita dall’Avvocatura, e non solo: identico auspicio, infatti, è venuto giorni fa dalla Commissione Giustizia del Senato, all’unanimità e con il parere positivo del Governo. Sembrerebbe una risposta plausibile. Il termine concesso alle Camere un anno fa non è – giuridicamente – perentorio, perché la Corte costituzionale non ha poteri di determinazione sui tempi della decisione parlamentare. E se la tecnica dell’«incostituzionalità differita» è davvero espressione di leale cooperazione tra poteri, ben si giustificherebbe un nuovo rinvio davanti a un Parlamento che – diversamente dal passato – manifesta la volontà di dare un seguito al monito rafforzato della Consulta.

D’altra parte, è la stessa ord. n. 97/2021 a riconoscere come spetti «in primo luogo al legislatore» assicurare, nella disciplina in esame, il complessivo equilibrio tra i diversi interessi in gioco (risocializzazione e umanità della pena, da un lato; prevenzione generale e sicurezza collettiva, dall’altro). Come, del resto, aveva fatto nel 2019 anche la Corte di Strasburgo che, nel censurare il regime dell’ergastolo ostativo, ha richiesto una sua modifica «di preferenza per iniziativa legislativa» (sent. Viola c. Italia). La soluzione in esame, infine, avrebbe il non trascurabile vantaggio di mettere al riparo la Consulta dal fuoco di fila proveniente dall’invincibile armata di pubblici ministeri e professionisti dell’antimafia «senza se e senza ma», con relativi giornali di complemento, il cui crepitio si ode – come un fatto quotidiano – ogni qual volta il c.d. doppio binario penitenziario è messo in discussione davanti alle Corti dei diritti. Pronostico scontato, dunque? Non è detto, e per più di una ragione che i giudici costituzionali certamente conoscono.

4. Calendario alla mano, le Camere hanno avuto ben più di dodici mesi per approvare la necessaria riforma. La citata sentenza Viola c. Italia, divenuta definitiva il 5 ottobre 2019, già indicava nel regime dell’ergastolo ostativo un «problema strutturale» che lo Stato italiano è tenuto a risolvere, come impone l’art. 46 della CEDU. Da allora, sono trascorsi due anni e sette mesi. Inutilmente. Il caso in esame, rispetto ai due precedenti, si differenzia per una ragione sostanziale che non va ignorata. Allora, i ricorrenti alla Corte costituzionale erano imputati a piede libero.

Ora, invece, il ricorrente è un recluso: il tempo supplementare concesso alla pigrizia legislativa ha allungato (indebitamente) la detenzione sua e degli altri ergastolani ostativi egualmente in condizione di chiedere e magari di ottenere – previo accertamento di un tribunale, dopo ventisei anni di detenzione più cinque di libertà vigilata – la fine di una pena altrimenti senza fine. Un ulteriore rinvio renderebbe ancora più odioso il prolungato limbo carcerario in cui sono costretti. In casi simili, infatti, ha davvero un prezzo fuori mercato la fictio iuris di tenere artificialmente in vita una disciplina incostituzionale. La Costituzione esige l’immediata cessazione degli effetti giuridici di una norma illegittima. Prolungarne ancora la vita attraverso un rinnovato escamotage processuale, significa aggravare nel tempo esiti già ritenuti lesivi della Costituzione.

5. Quale nuova data del calendario, poi, dovrebbero cerchiare i giudici costituzionali? La Commissione Giustizia del Senato è convocata in sede referente: dunque, sarà necessario anche il passaggio in aula della riforma in discussione. I suoi lavori non riguardano solo il testo approvato alla Camera, ma anche un alternativo disegno di legge (n. 2465, d’iniziativa del sen. Grasso). La dialettica al suo interno fa presagire una “navetta” parlamentare che allungherebbe l’iter legislativo, la cui durata – in un sistema a bicameralismo paritario – è sempre imprevedibile non meno del suo esito.

In questa cornice, se un procedimento avviato ma non concluso basterà alla Consulta per concedere altro tempo al Parlamento, i moniti rivolti al legislatore attraverso le proprie ordinanze interlocutorie – d’ora in poi – sembreranno tremebondi penultimatum. C’è dell’altro. Ragioni di giustizia e di credibilità istituzionale dovrebbero indurre la Corte a considerare un’ulteriore incognita: la composizione del proprio Collegio. Una sua variazione potrebbe – in ipotesi – alterare la maggioranza che si è riconosciuta nell’ord. n. 97/2021, fino a metterne in discussione la ratio decidendi. Rispetto a un anno fa, è già subentrato un nuovo giudice. E a settembre scadrà anche il mandato del suo attuale Presidente.

Qualunque rinnovata deadline, dunque, avrebbe un che di cabalistico. Sarebbe più simile a un casuale lancio di dadi che a una coerente scelta processuale. Inevitabilmente, perché se e quando approvare una legge è una scelta tutta politica, espressione della funzione legislativa che l’art. 70 Cost. riserva alle Camere e che non risponde né al cronometro né al metronomo della Consulta.

6. Questo scenario non muta, se lo si guarda attraverso una lente di politica del diritto. Rinviando di nuovo la causa odierna, la Corte costituzionale scommetterebbe ancora – giocoforza – su questo Parlamento. Come se le Erinni parlamentari, maggioritarie nell’attuale legislatura, potessero d’incanto mutare in Eumenidi. Tenderei ad escluderlo. Durante l’attuale legislatura – per restare in tema – è stato incrementato l’elenco dei reati ostativi pretendendone un’applicazione illegittima anche ai fatti pregressi (legge n. 3 del 2019).

È stata esclusa l’applicabilità del rito abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo, impedendone così la conversione in trent’anni di detenzione (legge n. 33 del 2019). Addirittura, per rimediare all’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, si è proposto di cambiare non la relativa disciplina legislativa ma la Costituzione, modificandone l’art. 27, comma 3, in materia di funzioni della pena (A.C. n. 3154). Quanto al disegno di legge n. 2574 già approvato alla Camera, è in larga parte peggiorativo dell’attuale regime ostativo penitenziario e disallineato alle indicazioni ricavabili dalla pertinente giurisprudenza costituzionale. Al netto delle critiche di merito, ciò che impressiona è la postura sbagliata assunta in Parlamento, dove l’ord. n. 97/2021 è stata vissuta come il problema da risolvere e non l’incentivo (e la cassetta degli attrezzi) per superare una pena perpetua incostituzionale.

Tutto ciò potrà avere una ricaduta processuale. Introducendo norme più severe delle attuali, l’eventuale riforma non troverebbe applicazione nel giudizio da cui è nata la quaestio oggi di nuovo all’esame della Consulta. Lo vieterebbe il principio di irretroattività penale, scudo che la giurisprudenza costituzionale ha elevato a protezione anche dell’istituto della liberazione condizionale (sent. n. 32/2020). Un nuovo rinvio della causa, dunque, rischia di accumulare inutilmente ritardo a ritardo nel dovere, gravante sulla Consulta, di rendere giustizia costituzionale a chi ha bussato alla sua porta.

7. Scopriamo così che, «tra i due possibili scenari per la Corte costituzionale», quello di un nuovo rinvio a data fissa è solo apparentemente «lineare», mentre è il più «contorto» (Davide Galliani, Il Dubbio, 7 maggio). Come si è impegnata a fare con l’ord. n. 97/2021, la Consulta è chiamata a misurare con il metro della Costituzione le «decisioni effettivamente assunte» in Parlamento: queste sono arrivate fuori tempo massimo, insufficienti rispetto all’esigenza di una nuova legge approvata definitivamente, in fieri inadeguate a ripristinare la legalità costituzionale nel giudizio a quo e nell’ordinamento. Oggi sapremo se la Corte ne prenderà atto, come dovrebbe: il ripristino della legalità costituzionale non può dipendere, ancora una volta, da un impegno parlamentare non mantenuto.

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Consulta rinvia esame a novembre – Rinviata all’8 novembre prossimo la trattazione della questione di legittimità delle norme in materia di Ergastolo ostativo. Lo ha deciso la Corte costituzionale, dopo una breve camera di consiglio, accogliendo l’istanza di differimento presentata dall’Avvocatura dello Stato.