“I miei studenti mi hanno supportata, fatta sentire parte di loro. Non ho mai subito atti di violenza verbale per la mia identità. E quando mi sono presentata vestita da donna mi hanno mandato messaggi WhatsApp per incoraggiarmi. La stessa cosa è successa con la dirigente scolastica”. A raccontare il delicato momento della sua transizione è la professoressa Simona Fatima Cira Aiello, che fino a poco tempo fa era il professore Salvatore. La prof insegna Italiano e Storia all’Istituto Polispecialistico “Marconi Galilei” di Torre Annunziata. Ha iniziato la sua transizione e in classe è stata accolta, compresa ma soprattutto sostenuta: “è stato del tutto naturale, anche per i miei alunni”, ha raccontato in un’intervista al Corriere della Sera.

La prof Aiello, 51 anni, racconta cosa sia significata per lei la transizione: “Un atto di responsabilità verso se stessi. Ci sono arrivata tardi, a 48 anni, e non è stata una scelta, ma soltanto un riadeguamento del mio corpo a ciò che conteneva l’anima”. E forse è proprio con il suo esempio che la prof ha dato una importante lezione ai suoi alunni: “Essere donne non significa mettersi tacchi a spillo o la gonna: puoi uscire anche coi pantaloni e sentirti dire ‘buongiorno signora’. Sta tutto in come ti poni”, ha raccontato.

Parla di se come una persona che è sempre stata molto discreta. “Da donna mi sono presentata vestita senza eccessi. E gradualmente, per fare abituare i miei allievi all’idea che il loro professore fosse diventata una prof”. E loro lo hanno compreso sin da subito. “Loro ovviamente percepivano che la mia natura non era quella maschile ma mi hanno sempre rispettato. Certo i commenti stupidi non mancano mai, però sono stati davvero pochi. Nella fase della transizione, ho iniziato con piccole cose: un giorno indossavo gli orecchini, un altro mettevo lo smalto. Si sono subito abituati e anche senza domande dirette, hanno compreso la mia situazione”.

La prof racconta che anche gli altri colleghi le hanno dimostrato grande affetto, ha sentito poche risate intorno a se. E tutto questo non è affatto scontato, anzi, la cronaca ci induce a credere che sia molto più frequente il contrario. “Mi ritengo fortunata, soprattutto dello scambio che ho con i miei allievi. Mi hanno accolta come io accolgo le loro storie difficili”, continua Aiello che racconta la sua storia: “Avevo 12 anni e mi dicevo: dentro sono donna e voglio diventarlo. Giocavo coi ragazzi ma desideravo le Barbie. Purtroppo però erano gli anni ‘80, non era concepibile nemmeno un figlio gay, figuriamoci transessuale. Mio padre mi costrinse persino ad andare all’istituto tecnico mentre io volevo fare il magistrale”.

Leggendo la sua storia non può che tornare alla mente la vicenda di un’altra professoressa trans, Cloe Bianco. Per lei la sorte fu un’altra, crudele: decise di togliersi la vita dopo anni passati ed essere bullizzata e non compresa, non accettata. “Cloe era la mia professoressa, uccisa da una comunità retrograda”, scrisse pochi giorni dopo una sua alunna in una lettera aperta. La storia della professoressa Cloe ricorda che c’è ancora tanto da fare per accettare e comprendere realtà che esistono da tempo. Ma la storia della professoressa Aiello è un faro nella notte, una luce di speranza che indica che tutto questo è possibile. E che tanto dolore può essere evitato semplicemente con il rispetto.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.