Cloe che aveva scelto d’essere se stessa. Persona: donna. Il mondo è abituato a fare caso all’apparenza, peggio, alle “apparenze”. Il misero mondo incapace di volo interiore sicuramente avrà fatto caso a Cloe Bianco. Ai suoi abiti femminili, alla sua femminilità. Probabilmente, ritenendo lei e il suo mondo un “corpo estraneo”. Scandaloso, perfino caricaturale. Al più piccino comune senso, appunto, delle apparenze, alla miserrima idea di un pudore incapace di comprendere le aspirazioni, l’essenza, la sostanza di Cloe, deve essere risultata estranea, oscena, perturbante. Una creatura da subito rimuovere.

Una morte impronunciabile, irriferibile, un fine vita atroce racconta infatti la storia di Cloe. Nessuno provi adesso però a rubricare la scomparsa di Cloe Bianco come un ordinario caso di “cronaca nera” già trascorsa, sia detto in nome di una chiarezza umana, civile e insieme politica affidata alla coscienza di tutti, e non unicamente riferita, “d’ufficio”, al mondo LGBTQ+ che adesso giustamente piange la fine della “sua” ragazza, Cloe, ritenendola ingiusta, di più, irricevibile, inaccettabile, vergognosa.
Non meno inaccettabile che debba essere lo scorrere del tempo, quando una nuova consapevolezza civile avrà fatto ancora strada, a salvarne la memoria, denunciando come uno stigma l’ottusa volontà di chi non ha saputo comprenderla, peggio, ha ritenuto “osceno” il fatto che Cloe Bianco sentisse d’essere parte dell’“altra metà del cielo”: donna, femmina.

Il mondo, l’ho detto, fa caso soprattutto alle apparenze, e anch’io ho fatto caso a un’altra apparenza della cronaca che fa seguito alla sua morte: esattamente alla foto di Cloe accostata alla foto di una signora assessore, Donazzan, di Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, ossia del fascismo come bene rifugio subculturale endemico e persistente in un Paese “orribilmente sporco”, così certamente avrebbe detto Pier Paolo Pasolini pensando a certo piccolo mondo. Il viso e il sorriso di Cloe posti accanto al volto ordinario di Elena Donazzan, assessore all’istruzione del Veneto mostrano un abisso. Cloe, per chi lo ignori, si è suicidata il 10 giugno nel camper in cui abitava, località Auronzo di Cadore, provincia di Belluno. Provincia, ripeto.

Cloe Bianco insegnava fisica, materia in cui era laureata, in un istituto di San Donà di Piave, “prima di essere allontanata dalla cattedra e ricollocata con funzioni di segretaria”, così leggo. Donazzan, in nome del suo assessorato istruzione, formazione, lavoro e pari opportunità del Veneto, ha accusato, non meno “d’ufficio” il movimento Lgbtq+ di “usare la morte tragica del professor Bianco per fare una polemica politica, solo per cercare di trovare la visibilità, per attribuire una responsabilità, senza farsi una domanda sul modo del suo coming out”. “Il professor Bianco” (sic), notate bene. Nel suo biglietto d’addio Cloe scrive: «Oggi la mia libera morte, così tutto termina di ciò che mi riguarda. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò».

Fate caso alle apparenze, fate caso allo sguardo dell’assessore Donazzan, e al suo lessico da mattinale di questura, linguaggio che riverbera la stessa ipocrisia di cui ci raccontava anni fa Giò Stajano, persona trans, tra le prime che l’Italia abbia mai conosciuto al tempo in cui lo scandalo veniva strillato dai rotocalchi. Così Giò, nipote di Achille Starace, che del fascismo ebbe i galloni di segretario del partito: “… un giorno chiesero a Mussolini di inasprire le leggi per reprimere gli omosessuali in pubblico, e allora sembra che Lui abbia risposto: ‘Non occorrono, in Italia non abbiamo omosessuali’”. Molti anni dopo, in un comizio tenuto in Spagna, davanti a una platea di nostalgici del franchismo, il regime che metteva i pantaloni al Cristo crocifisso, la signora leader del partito di Donazzan ha pronunciato ancora: “Sì alla famiglia naturale, no alla lobby LGBT…”. Si noti, il sentire clerico-fascista non mente mai, riappare intatto. Cloe ovvero la voglia di vita, il desiderio di affermare ciò che si è conquistato, di più, donato a se stessa: la consapevolezza di sentirsi persona e ancor prima donna. Così Cloe che ancora adesso ci guarda tutti dal suo cielo.

P.S. È stata Carla, diciannove anni, mia figlia, a chiedermi di raccontare, non abbandonare alla dimenticanza, la storia, la presenza di Cloe.

 

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate