Saranno resi noti solo oggi gli ultimi esiti degli esami di abilitazione alla professione di avvocato relativi alle prove sostenute nel 2019. Annunciata “al massimo per la fine di luglio”, la comunicazione dei risultati, proseguita a scaglioni durante l’estate, è finalmente giunta al termine con la pubblicazione degli abbinamenti relativi alle città di Roma e, dulcis in fundo, di Napoli. I ritardi però si sono accumulati a catena, e mentre il bando relativo alla sessione d’esame 2020/2021 tarda ad arrivare, ancora non risulta nessuna disposizione ufficiale relativa ai protocolli di distanziamento e di sicurezza che un concorso con alti numeri di iscritti e partecipanti comporta, anche a causa delle farraginose modalità di svolgimento, con il protrarsi delle prove per più giorni, come sottolinea in una nota Claudia Majolo, Presidente dell’ Upavv (Unione Praticanti Avvocati).

Quello dell’organizzazione in sicurezza dei concorsi nell’era del Covid è un mal comune che coinvolge numerose categorie, basti pensare alle criticità previste per le imminenti prove d’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, per non parlare del caos scuola, con lo scoraggiante susseguirsi di ordini e contrordini relativi al rientro in aula e all’arruolamento di nuovo personale docente, un atteggiamento confusionario che mal cela l’imbarazzo profondo con cui le istituzioni stanno cercando di risolvere il problema, a furia di doppi turni (ma chi paga gli straordinari ai docenti?), didattica a distanza (chi fornirà pc e connessione ai meno abbienti?) e ripensamento degli spazi, affidato – ormai è evidente- all’arte di arrangiarsi di presidi spesso costretti a gestire edifici fatiscenti, sovraffollati e in carenza di organico ben prima del Covid. Nel caso specifico degli aspiranti avvocati, parliamo di una categoria già pesantemente afflitta da una grave crisi della professione ,che a partire dal restringimento della concorrenza, frutto marcio delle liberalizzazioni di Bersaniana memoria, in un contesto di paralisi progressiva del sistema giustizia, ha portato negli ultimi anni ad un crollo vertiginoso e progressivo di iscrizioni all’albo e ad un aumento preoccupante di chi rinuncia alla professione pur di non far fronte ai crescenti oneri contributivi e ad altre spese, come l’obbligo di iscrizione alla cassa forense.

Concorrenza sleale al ribasso, saturazione del mercato, processi dai tempi biblici, intoppi burocratici: una situazione di sofferenza che il Covid sta trasformando in agonia, con i processi che riprendono a rilento e la maggior parte delle udienze già rimandate al 2021 inoltrato. A seguito della pandemia, numerose categorie hanno ripensato o stanno ripensando ai criteri d’accesso alle relative professioni, e i ritardi nelle correzioni delle prove d’abilitazione alla pratica forense, cui ha fatto seguito la pubblicazione repentina, a scaglioni, di decine di migliaia di risultati in pochi giorni, ha riacceso con veemenza le polemiche e lo scetticismo riguardo al sistema di abilitazione alla professione forense.

Da più fronti, con interpretazioni, attribuzioni di responsabilità e soluzioni distinte, emerge la necessità di interventi strategici che possano rinnovare le modalità di abilitazione garantendo procedure più rapide (superando i tempi biblici tra una prova e l’altra e il mortificante procedimento del “doppio esame”, che spesso condanna molti aspiranti a perdere mesi o anni della propria vita in attesa dei risultati) , o ripensando all’opzione di abolire la prova orale per chi abbia superato meritevolmente gli scritti, e in generale ricalibrando i criteri di selezione in un’ottica che valorizzi in maniera più efficiente il merito (in tal senso ritorna in auge la sempreverde ipotesi del numero chiuso per l’accesso alla facoltà) e che garantisca alle commissioni tempi meno stringenti e numeri di prove da valutare più sostenibili, magari aumentando il numero delle sessioni durante ogni annualità.

Ora, con il Virus che incalza di nuovo, risulta ancora più problematico immaginare padiglioni sovraffollati di candidati, costretti a sostenere prove divise su più giornate, sostenute in strutture spesso inadeguate a garantire distanziamento, standard igienici e in generale a scongiurare la temuta eventualità di innescare nuovi focolai. In un simile contesto, la necessità di ripensare i procedimenti di abilitazione e, più in generale, di garantire concorsi rapidi, meritocratici e sicuri, diventa un’urgenza cui le istituzioni competenti dovranno far fronte il prima possibile.