A causa della profonda crisi scaturita dalla pandemia, numerose categorie hanno colto l’occasione per mettere in discussione i criteri di accesso ai rispettivi albi professionali e per riconsiderare in maniera radicale il rapporto irrisolto tra formazione universitaria e mondo del lavoro: si pensi alla laurea in medicina resa abilitante in tutta fretta o alle peripezie per l’immissione in ruolo e per l’abilitazione che stanno affrontando, proprio in questi mesi, i precari della scuola. Gli avvocati, già in crisi prima del Covid, non hanno mancato di far sentire le loro voci, soprattutto per ciò che concerne gli inevitabili ritardi delle correzioni delle prove dell’esame di abilitazione del 2020, e dopo l’imbarazzo incredulo, tinto di diffidenza, che ha seguito la pubblicazione di decine di migliaia di correzioni in tempi record, nonostante mesi di stallo causa Covid. Abbiamo raccolto il punto di vista di tre avvocati partenopei, tutti concordi nell’affermare l’urgente necessità di rinnovare la pratica forense e le procedure di abilitazione ma alquanto prudenti nel giudicare eventuali responsabilità politiche relative ai ritardi e ai criteri di valutazione. Diverse le soluzioni auspicate per sciogliere un nodo che lascia col fiato sospeso per mesi, se non per anni, migliaia di giovani aspiranti difensori della giustizia, costretti ad attendere tempi biblici per abilitarsi, correndo anche il rischio di scoprire solo dopo mesi di non “essere passati”, gettando al vento anni di preparazione.

“Le problematiche legate all’accesso alla professione e alle talmudiche procedure di abilitazione e correzione delle prove”, ricorda l’Avvocato Nicolò Rubino, con il Covid rischiano di causare una vera e propria paralisi: “difficile pensare ai padiglioni affollati e alla gestione degli inevitabili assembramenti che concorsi con numeri così alti di partecipanti comportano. Le correzioni sono state sospese per molto tempo e stanno arrivando scaglionate e in ritardo, causando a catena un ritardo delle prove orali e delle nuove iscrizioni all’albo”. Per l’Avv. Gianni Scarpato la procedura di correzione dell’esame di avvocato ha una durata insostenibile, ma “le polemiche rivolte all’ordine riguardo le modalità di correzione e le tempistiche sono mal poste, perché l’ordine oramai non ha competenza diretta. Una soluzione per sveltire le procedure non è certo quella di abolire lo scritto, ma si potrebbe serenamente pensare ad un’abolizione della prova orale per tutti coloro che abbiano superato meritevolmente la prova scritta, con immediata iscrizione all’albo degli Avvocati”. L’iscrizione diretta previo superamento della prova scritta eviterebbe la procedura, talvolta mortificante, del doppio esame, oltre a scongiurare i tanto temuti assembramenti.

“L’esame per diventare avvocato deve esserci”, incalza Rubino, “ma va sicuramente riformato così come vanno ricalibrati i criteri di selezione in un’ottica maggiormente meritocratica. Proprio il merito invece rischia di passare in secondo piano visti i numeri ancora alti degli aspiranti; sarebbe il caso di ripensare la selezione a monte, magari con il numero chiuso o con l’aumento del numero delle prove durante l’anno, così da consentire alle commissioni delle correzioni più agevoli e attente, a vantaggio di una valutazione più meritocratica”. Non si può tuttavia rinunciare del tutto ad una verifica delle competenze tecniche, per una professione in cui la redazione degli atti giudiziari prevede competenze di scrittura che non possono essere sottovalutate. Ne va della tutela dei diritti dei cittadini, prima di tutto. Così com’è , la pratica per diventare avvocato non è tutta da buttare, ricorda Pasquale Altamura: “Oggi la pratica forense è più dinamica e breve rispetto al passato, e prevede un inserimento immediato tramite l’azione sul campo e un progetto formativo ricco e motivato”. Il dibattito sulle modalità di abilitazione alla professione non avviene solo a livello territoriale ma nazionale, ed è ancora una volta a causa del Covid che si sono interrotti i proficui dibattiti scaturiti dall’agorà che il Consiglio Nazionale Forense ha indetto nel 2019 per discutere di diverse problematiche connesse all’esercizio della professione, anche nell’ottica di un ripensamento dei criteri di determinazione e di superamento delle prove di abilitazione. “Si spera che il dibattito riparta a settembre, seconda ondata permettendo”, continua Altamura, “con la speranza di tenere in considerazione tutti il multiformi e discordanti punti di vista che compongono l’universo giustizia”, un universo decisamente in crisi, in un paese che ogni anno perde migliaia di iscritti all’albo degli avvocati, e in cui, a partire dalla fase due, le ultime ruote del carro che stentano a riprendere la marcia sono, non a caso, la scuola e la giustizia.