"Siamo a un bivio agire o restare indietro"
Figli con due mamme, Alliva: “Vittoria del diritto sul pregiudizio, ora avanti con i due padri. Pro-vita? Superata dalla realtà”

«Una sentenza davvero significativa». Lo scrittore e giornalista Simone Alliva – autore, fra gli altri, del volume «Caccia all’omo. Viaggio nel paese dell’omotransfobia» (Fandango Libri), dal 30 maggio in libreria in un’edizione aggiornata – commenta il pronunciamento della Corte Costituzionale che ammette, per le coppie lesbiche, il diritto al riconoscimento dei figli nati all’estero attraverso la procreazione assistita, dichiarando de facto illegittimo l’articolo 8 della legge 40, risalente al 2004.
Alliva, sentenza della Consulta sulla procreazione assistita: un importante passo in avanti?
«È una sentenza importantissima. Fino a ieri, i bambini nati in Italia da due donne che si amano e che hanno scelto – insieme – di avere un figlio non erano tutelati. Una delle due portava avanti la gravidanza, l’altra c’era: prima, durante, dopo. Ha desiderato, scelto, amato. Eppure, per lo Stato, una sola era riconosciuta come madre. L’altra era invisibile. Con questa sentenza, la Corte costituzionale ha detto basta: è incostituzionale impedire a una madre intenzionale di essere riconosciuta come genitore del proprio figlio. È già suo figlio. Subito, dalla nascita. Senza più zone grigie, trafile giudiziarie. Questa è una vittoria del diritto sul pregiudizio. Ma questa sentenza ci costringe a interrogarci sul diritto alla paternità per gli uomini omosessuali. Non significa spalancare la porta alla GPA, ma l’ostacolo principale oggi resta l’adozione. Questa sentenza rompe un’idea tradizionale di famiglia. Se accettiamo la possibilità di due madri, perché non possiamo accettarne altre? È solo una questione di pratica. Con questa sentenza la Corte ha disegnato una famiglia con due donne e un bambino, perché la Costituzione lo permette. Dobbiamo allora chiederci: perché non è possibile un altro disegno familiare? Se il problema è la GPA, non riapriamo ora quel dibattito, ma almeno togliamo l’ostacolo dell’adozione».
Permane tuttavia il divieto per le donne single di accedere alla procreazione medicalmente assistita…
«Anche qui, si tratta solo di una questione di pratica. Il modello delle famiglie monogenitoriali esiste, è diffusissimo, eppure non è ancora legittimato. Una donna single non può accedere alla PMA, ma non può adottare. È un paradosso. Se il problema è solo la pratica -cioè la tecnica medica- allora discutiamo della PMA. Ma se ormai accettiamo che due donne possono essere due madri, allora apriamo davvero all’adozione. Altrimenti continuiamo a fare battaglie di minoranza, senza allargare il fronte del consenso. Tornando alla sentenza numero 69 penso anche che dieci anni fa, la Corte Costituzionale non avrebbe mai fatto questa scelta. Le Corti si esprimono in base al tempo in cui viviamo. E oggi è chiaro che c’è un fenomeno -quello della pluralità delle famiglie- che non stiamo governando. La Corte interviene perché vede la realtà: migliaia di procedimenti aperti, madri che intasano i tribunali, sentenze che danno loro ragione. Se succede tutto questo, significa che qualcosa non funziona».
La sentenza ha incontrato la contrarietà di associazioni come Pro-vita. Un dissidio insanabile?
«Sono i rantoli di un movimento che viene sconfitto dalla realtà. Nonostante i sostegni neri che lo circondano – forze neofasciste e parti del governo – nella battaglia tra realtà e fondamentalismi è sempre la realtà a vincere. La retorica del “furto del padre” che usano è ideologica. Nelle coppie lesbiche che accedono alla PMA, il donatore non è un padre: non c’è né un legame legale, né affettivo. Il figlio nasce in un progetto condiviso da due madri. Eppure, nessuno accusa le coppie etero che fanno la stessa cosa di “rubare” la paternità al donatore del seme per darla al padre sociale. È una doppia morale, la stessa che un tempo colpiva le madri single».
Questa sentenza segna un vuoto della politica?
«Sì. La politica oggi si misura solo sul consenso. Non decide, segue i sondaggi. I temi che chiedono coraggio vengono evitati perché “fanno perdere voti”. Ma se ti muovi solo per non perdere, che politica fai? Il problema è che manca il coraggio di fare scelte radicali e poi costruirci intorno consenso. Non è solo questione di assecondare l’opinione pubblica, ma di guidarla, trasformarla. Oggi le scelte coraggiose le fa la giustizia: non il governo, né questo né il precedente. Le unioni civili sono arrivate dopo vent’anni di proposte stralciate. E oggi, culturalmente, siamo di nuovo davanti a uno snodo: o si agisce o si resta indietro».
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