Una vita spesa nell’impresa e per l’impresa, nel cuore produttivo d’Italia, a Piacenza, terra emiliana che si integra naturalmente con la Lombardia produttiva: Dario Costantini, 48 anni e dal 2021 presidente di Cna nazionale, è prima di tutto un imprenditore artigiano (nel settore del condizionamento, ventilazione e gestione di impianti) di quelli abituati alla concretezza. La sua voce è quella di 630mila piccole e medie impresa. A Il Riformista dice che sul PNRR il fallimento «non è contemplato» e si schiera sul no al salario minimo legale.

Presidente, perché in Italia non serve una norma sulla retribuzione minima?
«Non c’è alcun bisogno di introdurre per legge il salario minimo. Una posizione coerente con la direttiva europea che non prevede l’obbligo per i Paesi dove la contrattazione collettiva copre oltre l’80% dei lavoratori dipendenti. Non a caso Svezia, Austria e Danimarca hanno annunciato che non applicheranno la direttiva. La stessa direttiva afferma che la strada maestra per rafforzare le tutele dei lavoratori e potenziare la produttività è la contrattazione collettiva di qualità. Segnalo un potenziale rischio: se quello fissato per legge fosse più basso rispetto a molti contratti collettivi ci sarebbe la tentazione di disapplicare gli accordi».

Cosa replicare a chi vede in questo strumento il modo per contrastare lo sfruttamento del lavoro?
«Lo sfruttamento del lavoro si combatte allargando e rafforzando la contrattazione tra imprese e sindacati. Non è più rinviabile una legge sulla rappresentanza, principale pilastro contro la piaga dei contratti pirata che sono aumentati a dismisura negli ultimi anni. E poi potenziare i controlli sull’applicazione dei contratti».

L’Istat mostra dati economici in miglioramento per l’Italia: qual è il polso della piccola e media impresa?
«Le imprese guardano sempre avanti. L’intonazione del Pil e dell’occupazione beneficia del traino offerto da due comparti caratterizzati dalla piccola impresa come le costruzioni e il turismo. Ma l’inflazione elevata e la stretta monetaria della BCE con impennata del costo del denaro stanno creando molte difficoltà alle imprese e ai consumatori. Non dimentichiamo il problema energia. Le piccole imprese la pagano il 35% in più della media europea e quattro volte le grandi imprese».

La riduzione della tassazione sul lavoro è un punto spesso evocato, ma affrontato solo a piccoli passi. Come intervenire in modo finanziariamente sostenibile?
«I nostri dati dell’Osservatorio sul fisco indicano che i contribuenti nella migliore delle ipotesi lavorano fino a fine giugno per il socio Stato, nella peggiore fino a tutto luglio. La via maestra per accrescere il reddito disponibile è aumentare la produttività, creando un contesto favorevole al fare impresa, soprattutto per le micro e piccole imprese che rappresentano il 98% del tessuto produttivo».

In questi giorni è tornata di moda la “pace fiscale”: il mondo delle Pmi sente questa come una priorità?
«Per le nostre imprese le priorità sono un fisco equo, semplice e chiaro. La delega fiscale persegue le giuste finalità di riduzione della pressione fiscale, semplificazione del sistema, certezza del diritto, miglioramento del rapporto tra fisco e contribuente. Auspichiamo che tale impianto venga confermato e soprattutto realizzato con i decreti attuativi».

L’Italia si gioca molto sul Pnrr, per il quale però si sono falliti gli ultimi obiettivi. Riusciremo a vincere questa sfida e che impatto sta avendo sulle Pmi?
«La premessa è che sul Pnrr il termine fallimento non è contemplato. È in gioco il futuro dei nostri figli. La realtà è che lo Stato in tutte le sue articolazioni ha una bassa capacità di spendere le risorse come dimostra l’esperienza dei fondi europei. Per questo abbiamo proposto agli ultimi tre governi di coinvolgere le imprese attivando anche investimenti aggiuntivi sugli obiettivi delle varie missioni. Solo un esempio. Per la riqualificazione degli immobili pubblici il Pnrr prevede 1,5 miliardi di euro. Non risulta che sia stato speso un solo euro».

È anche per questo che avete proposto un incentivo fiscale per realizzare piccoli impianti fotovoltaici (fino a 200 KWh) sui tetti degli immobili delle Pmi?
«Abbiamo registrato un ampio interesse, nel governo e tra le forze di opposizione. La nostra proposta è coerente con la filosofia di coinvolgere le imprese private nell’utilizzo delle risorse del Pnrr per raggiungere obiettivi di interesse generale».

Sui bonus edilizi si sono spesi miliardi: sono davvero necessari altri interventi?
«I bonus all’edilizia sono la dimostrazione di quanto sia importante la programmazione, la stabilità e la certezza delle norme e delle risorse finanziarie. Il settore delle costruzioni è stato il traino del recupero dell’economia italiana negli ultimi due anni. Siamo stati i primi a chiedere di mettere ordine al sistema di incentivi con un orizzonte di medio e lungo termine e rendendo i bonus sostenibili per le finanze pubbliche e per il mercato. Ci sono migliaia di imprese che ancora non riescono a cedere i crediti fiscali e uno Stato non può scaricare le sue responsabilità sulle imprese che hanno rispettato una norma di legge. In quest’ottica la direttiva europea sulla casa rappresenta una opportunità per definire un patto tra lo Stato, le imprese e i cittadini per riqualificare il patrimonio immobiliare, ripensare le periferie. Oltre a produrre più energia da rinnovabili dobbiamo ridurre i consumi e oggi le abitazioni producono il 40% delle emissioni e assorbono il 36% dei consumi energetici. Non ce lo chiede l’Europa, lo dobbiamo ai nostri figli».