Il ritratto
Francesco Cossiga, un cattolico liberale in un partito di affaristi
Per fortuna non ero solo nel difendere il presidente che aveva previsto Mani Pulite e l’assalto alla cittadella e che senza pensarci due volte, aveva mandato una legione di carabinieri in assetto anti-sommossa a Palazzo dei Marescialli per mandare un segnale inequivocabile al Consiglio superiore della Magistratura riunito nel Palazzo dei Marescialli, di cui lei era il presidente, anche se nel Csm chi governa è il vice presidente, ai tempi Giovanni Galloni. Dovetti a un certo punto scoraggiarlo dalla sua pretesa di affidare a me tutte le sue punzecchiature contro gli altri politici. Ma era un’impresa quasi disperata. Un giorno pretese di farmi scrivere che Achille Occhetto era «Uno zombie coi baffi».
E io mi rifiutai: «Non è da te, presidente, io non lo scrivo». Poco male: il giorno dopo «Occhetto è uno zombi coi baffi» era un titolo de il Messaggero. Mi aveva bypassato senza tragedie e meglio così. Quando si dimise mi volle al Quirinale fra le sue scartoffie, consegnò la bandiera di combattimento al bambino che gli aveva risposto al telefono raccomandandogli di custodirla per la generazione dei futuri patrioti e mi chiese di accompagnarlo in esilio in Irlanda. Mi mandò al 33mo Stormo di Ciampino dove lo attendeva il jet presidenziale e gli fui accanto mentre il pilota metteva la prua sull’Irlanda. Parlammo poco e lui si lasciò vincere da una lacrima o due. Io gli detti una goffa pacca sulla spalla.
Poi andammo in taxi fino al monastero dove lo attendevano e dove il bibliotecario era sulla soglia a braccia aperte per discutere con lui i libri dei pensatori cattolici irlandesi. La porta si richiuse e finì così la mia straordinaria avventura giornalistica con un presidente molto speciale che poi ho sentito solo poche volte per telefono e che visitai una sola volta nella sua casa al quartiere Prati, ormai abbandonato da tutti.
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