Giustizia
Fuga dai tribunali ai Tar, così il sistema ha cambiato volto alla magistratura
«La fuga di magistrati dai tribunali ordinari? Il problema è innanzitutto strutturale, ed è poi vero anche che il concorso in magistratura è meno appetibile rispetto al passato per lo scarso appeal che ha in questo momento la magistratura, la quale deve fare però mea culpa perché se ci troviamo in questa fase così bassa di credibilità e popolarità, nel senso che il feedback che abbiamo non è positivo, non è solo colpa dello scandalo Palamara. Quello è stata la punta dell’iceberg, l’etichetta con cui indicare magistrati fortemente politicizzati all’interno delle correnti che, lo dico sintetizzando al massimo, si spartiscono i posti e, benché si tratti di 300-400 su un totale di quasi ottomila, l’effetto ricade sulla quasi totalità dei colleghi per cui o ci si piega a certe logiche o non si fa carriera. E questo demotiva».
Raffaele Marino, magistrato di lungo corso ora in pensione, già in Dda a Napoli e poi sostituto procuratore generale, accetta di commentare con Il Riformista l’allarme lanciato durante la seduta del plenum del Csm sulla fuga dei magistrati dalla giustizia ordinaria. Una fuga che a Napoli non è una novità, dal momento che da mesi si registrano difficoltà a coprire i posti vacanti in Corte d’appello. «I fattori sono vari, il primo sicuramente è legato al fatto che è stato reso più complicato l’accesso alla professione, il che ha cambiato il volto della magistratura, perché c’è stato un minore ricambio e una maggiore omologazione. Prima al concorso si accedeva con la sola laurea, ora con l’abilitazione alla professione di avvocato o il tirocinio legale, o dopo la scuola di specializzazione. Significa un dispendio di soldi che non tutti possono permettersi, penalizzando il merito».
Rimedi? «Una seria riforma dei criteri di accesso», sostiene Marino. E se le modalità per entrare in magistratura sono il primo fattore, gli altri, anche secondo quanto emerso dall’allarme lanciato al Csm, sono legati ai carichi di lavoro insostenibili nei settori penali e civili e a una sorta di disagio esistenziale della magistratura colpita dalla questione morale. «In passato c’era una tensione ideale per cui fare il magistrato non solo dava prestigio sociale, ma significava soprattutto mettere le proprie funzioni al servizio del cittadino per inverare la Costituzione e rendere giustizia a chi giustizia richiedeva – sottolinea il magistrato –, oggi invece è un mestiere ad alta specializzazione in cui viene meno l’interesse a lavorare nei posti dove si rischia di più». Di qui la fuga dai tribunali con più carichi di lavoro e condizioni di marcato sottorganico verso diverse sedi o diversi settori della giustizia, come quella amministrativa. «Ci si dimentica che il magistrato è pagato per decidere e le decisioni sono rischiose per definizione», aggiunge Marino puntando l’attenzione anche su un altro aspetto. «La burocratizzazione, con i controlli e gli standard di rendimento, spinge all’omologazione e alla ricerca di situazioni più comode».
Quanto all’oasi dei Tar, commenta: «Nella magistratura amministrativa si intravede una minore esposizione al rischio e la possibilità di una carriera più veloce perché ci sono meno scatti intermedi, ma i magistrati amministrativi sono molto pochi rispetto a quelli ordinari». Si stima un totale di 430 a fronte dei quasi ottomila della giustizia ordinaria. «Il vero nodo da sciogliere resta l’immobilità sociale che si è creata introducendo sbarramenti all’accesso alle professioni e penalizzando il merito a favore di corsi e scuole che non sono alla portata di tutti. Questa immobilità sociale è l’opposto di ciò che aveva fatto progredire l’Italia quando, nel dopoguerra e negli anni ’80, furono estesi i diritti e le possibilità a una platea sempre più ampia di popolazione».
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