Il vero nemico è la combustione
Fumatori, dopo la pandemia sono cresciuti di un milione. Si svapa di più, ma in Gran Bretagna le sigarette elettroniche sono roba da sfigati

Il fumo fa male, ma le crociate ideologiche non aiutano chi non riesce a smettere. È questo, in estrema sintesi, il cuore della riflessione del professor Fabio Beatrice, chirurgo oncologo cervico-facciale e uno dei massimi esperti, in Italia, nella lotta al tabagismo. Per il World No Tobacco Day del 31 maggio, il fondatore del Centro Antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino invita a riflettere sulla centralità del paziente, non sul bersaglio ideologico. «Io metto al centro chi fuma, che sia sano o apparentemente sano, e cerco di fare in modo che smetta e non ricominci. Tutto il resto rischia di essere un teatrino».
Gli insuccessi superano i successi
Secondo Beatrice, «questa giornata dovrebbe essere focalizzata sul soggetto fumatore, non sulle battaglie ideologiche contro le multinazionali del tabacco». La sua è una voce autorevole, radicata in un’esperienza clinica trentennale e sorretta da numerose pubblicazioni scientifiche. «Parliamo troppo spesso di ciò che funziona – afferma – ma in medicina bisogna guardare ciò che non funziona. E nel tabagismo, purtroppo, gli insuccessi superano i successi». Durante la pandemia si è registrato un milione di fumatori in più, effetto collaterale dello stress e della reclusione sociale. «La curva si è impennata, e oggi si è stabilizzata su un andamento piatto, con un lieve declino.
Quanti sono gli italiani che fumano
Fuma ancora più del 20% della popolazione italiana, circa 11 milioni di persone». Sulle sigarette elettroniche Beatrice è netto, ma anche pragmatico: «Non sono un prodotto salutare, ma riducono drasticamente la tossicità rispetto al fumo combusto». In uno studio sperimentale condotto con l’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato su una rivista svizzera di salute pubblica, Beatrice ha dimostrato che il passaggio esclusivo alla sigaretta elettronica normalizza i livelli di monossido di carbonio, mantenendo stabile l’assunzione di nicotina. «È come con il metadone per chi fa uso di oppiacei: non elimini la dipendenza, ma riduci la tossicità».
Le evidenze si moltiplicano: due recenti revisioni della Cochrane Collaboration (2024) hanno analizzato 72 studi – di cui oltre 40 randomizzati – su un campione di 22.000 soggetti, e hanno confermato che la sigaretta elettronica è parimenti o più efficace dei farmaci nel favorire la cessazione del fumo. Anche una pubblicazione su JAMA (2024), con 1068 partecipanti, ha mostrato una maggiore efficacia rispetto al classico cerotto alla nicotina. E uno studio apparso su Addiction a gennaio 2025, basato su 126 ricerche, ha rilevato che chi utilizza e-cig ha tassi di cessazione più alti rispetto a chi non le usa. Una delle esperienze più convincenti arriva dalla Svezia, dove l’uso regolamentato dello snus – piccoli sacchetti di tabacco o nicotina da inserire tra gengiva e labbro – ha portato a un crollo del tumore polmonare tra gli uomini: dal 20% al 5%. «Questi numeri non si sono registrati tra le donne – osserva Beatrice – perché culturalmente meno inclini a usare questo tipo di prodotto. Ma la rimodulazione delle accise, che in Svezia privilegia fiscalmente i prodotti meno tossici, ha incentivato scelte più salutari». A documentare questo impatto è stato Lars Armstrong, esperto di salute pubblica svedese, che ha stimato 3.000 vite salvate grazie a questa strategia. E in Italia? «Non funziona il rispetto dei divieti – denuncia Beatrice – basta andare davanti a una scuola. I ragazzi fumano ancora, sia tabacco tradizionale sia sigarette elettroniche.
In Gran Bretagna è roba da sfigati
E se l’e-cig viene vissuta come oggetto alla moda, è naturale che i giovani la vogliano provare». In Gran Bretagna, dove è proposta come strumento di cessazione e non come lifestyle, «è considerata una cosa da sfigati. Il che funziona». Il problema, secondo il professore, non sta nella nicotina. «La nicotina è ciò che crea dipendenza, ma non è cancerogena. I danni derivano dalla combustione: 70 cancerogeni certi, oltre 7.000 sostanze tossiche, tra cui polonio radioattivo». È da qui che bisogna partire: «Facciamo disinformazione quando diciamo che il problema è la nicotina. Anche perché la nicotina è la base dei farmaci per smettere di fumare».
Beatrice propone un approccio clinico, non ideologico. «Non si può combattere il fumo solo demonizzando le multinazionali o creando sensazionalismo. Il medico deve informare con equilibrio, e soprattutto curare. Il mio obiettivo è sempre stato aiutare il paziente, non giudicarlo». Critico anche sulle campagne shock sui pacchetti: «Il fumatore è già informato, non gli serve paura. Il problema è che l’essere umano non riesce a proiettarsi: se gli dico che si ammalerà tra vent’anni, non cambierà comportamento oggi. Serve invece un’educazione al rispetto delle regole e un supporto più umano, soprattutto per chi non riesce a smettere». Tra i progetti futuri di Beatrice, c’è anche un’iniziativa nelle carceri, dove il tasso di fumo è elevatissimo: «In un contesto di fragilità sociale ed economica, è fondamentale non colpevolizzare ma offrire alternative». Quanto agli strumenti legislativi, il professore non invoca nuove leggi, ma il rispetto di quelle esistenti. E, se necessario, una leva fiscale più incisiva: «Aumentare il prezzo può aiutare, ma attenzione: se esageri, alimenti i mercati illegali. E poi, i governi non vogliono rinunciare agli introiti garantiti dalle accise». La sua conclusione è inequivocabile: «Servono politiche efficaci, non ipocrisie. E smettiamola di raccontare che tutte le forme di fumo si equivalgano. La combustione è il vero nemico. Il resto si può gestire con intelligenza e pragmatismo».
© Riproduzione riservata