Pupo, al secolo Enzo Ghinazzi, cantante, divo, amatissimo dal pubblico italiano; pop, sentimentale, melodico, diportistico e non soltanto, ma che dico, beniamino mondiale, se non planetario, assai apprezzato in Russia addirittura dal lontano 1979, quando ancora sull’altana di granito vermiglio del Mausoleo di Lenin affacciato sulla Piazza Rossa figuravano le sopracciglia dell’ucraino Leonid Breznev, il mio fraterno amico Pupo, anzi, “Puposki”, nelle settimane appena trascorse, è stato puntato, preso di mira, stigmatizzato a proposito del suo silenzio su ciò che accade in Ucraina.

Gli hanno addirittura imputato d’essere contiguo o comunque benevolente rispetto alla corte spettacolare del criminale Vladimir Putin, o piuttosto, diversamente dal collega non meno caro ai russi, Al Bano Carrisi, di non avere preso ufficialmente le distanze dalle brame imperialistiche del regime dittatoriale che, innalzando una tetra Z, ha aggredito uno stato sovrano, la terra d’Ucraina. Segnatamente, qualcuno, citando una sua partecipazione a un talk di un’emittente russa, con tono da procuratore generale sembra avere chiesto una sorta di immediato embargo spettacolare nei suoi confronti, possibilmente da parte delle televisioni dell’Occidente libero e democratico.

Mi si consenta la difesa dell’amico. Assodato che personalmente mi ritrovo schierato dalla parte del popolo dell’Ucraina e del suo presidente Zelensky senza se e senza ma fin dal primo istante, confesso di trovare ogni possibile richiesta di “sanzioni” spettacolari per “Puposki” sinceramente irricevibili, ingiuste, forse perfino sconcertanti. La posizione etica di Enzo Ghinazzi rispetto al dramma della guerra, infatti, non sembri un espediente dialetticamente ambiguo, muove infatti da una doppia vicinanza che contempla “amore”, parole sue, sia per il popolo russo sia per il popolo ucraino, ed è dunque innanzitutto mossa da un dato di umana sofferenza per l’aggressione in atto, che non sembra al momento trovare spiragli di vere trattative. Amore, vicinanza per entrambe i popoli e le loro incancellabili culture.

L’obiezione, a suo modo altrettanto comprensibile, che alcuni, come me schierati sulla barricata della resistenza ucraina, potrebbero muovergli non è priva di ragioni valide e sembra dire: perché mai il “nostro” Pupo accetta di partecipare, sia pure da remoto, a un talk che ha luogo presso un canale mediatico della Grande Madre Russia dove è in atto un controllo pervasivo delle opinioni contrarie alle versioni della propaganda ufficiale imposta dal regime, di più, in un Paese dove perfino l’uso pubblico della parola “guerra” è inibito, pena il carcere o la deportazione? Dimenticavo, il frammento televisivo cui faceva riferimento la reprimenda dei suoi censori era contenuto in un montaggio di “Blob”, visto su Raitre.

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate