Ora è formalizzato. Quello di Giulio Regeni fu un “assassinio di Stato”. Nel 2016 il giovane ricercatore italiano fu seviziato con acute sofferenze fisiche “in più occasioni ed a distanza di più giorni”. La procura di Roma ha chiuso l’inchiesta sulla sua morte, emettendo quattro avvisi di chiusura delle indagini, un atto che solitamente prelude la richiesta di rinvio a giudizio, per altrettanti appartenenti ai servizi segreti del Cairo, mentre per il quinto indagato è stata chiesta l’archiviazione. Le accuse, a seconda delle posizioni, sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

Dalla descrizione delle atrocità subite da Regeni emerge anche il nome di colui che, sostengono il procuratore capo Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco, è stato il carceriere, l’aguzzino, e il boia del giovane ricercatore: si tratta del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif che «per motivi abietti e futili e abusando dei suoi poteri, con crudeltà, cagionava a Giulio Regeni lesioni» e «la perdita permanente di più organi, seviziandolo – scrivono i magistrati – con acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni attraverso strumenti taglienti e roventi con cui gli cagionava con numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori; attraverso ripetuti urti ad opera di mezzi contundenti (calci o pugni e l’uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo dello stesso contro superfici rigide ed anelastiche».

«Oggi che il quadro è più chiaro e che lo leggiamo nelle conclusioni dell’inchiesta dei magistrati, nessuno può tirarsi indietro e non fare la propria parte. Questa è una tappa che segna un cambiamento profondo, perché sappiamo bene cosa avviene nell’Egitto di al Sisi». Ad affermarlo è il presidente della Camera, Roberto Fico, in una conferenza stampa ieri a Montecitorio – insieme a Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio, collegati in streaming – esprimendo un giudizio sulle conclusioni dell’inchiesta della procura di Roma sul sequestro e la morte del ricercatore italiano in Egitto. «Qualche tempo fa nessuno avrebbe pensato che saremmo arrivati dove siamo oggi. È una tappa importante nella ricerca della verità ma anche per la democrazia italiana e non solo. Nessuno ci avrebbe scommesso, noi invece scommettiamo che ce ne saranno altre anche perché noi non ci fermiamo», dice Paola Deffendi, la madre di Giulio.

«La nostra lotta di famiglia – aggiunge – è diventata grazie al popolo giallo, alla “scorta mediatica” e alla politica che ci segue, una lotta di civiltà per diritti umani nella memoria di Giulio che ha prima illuminato la situazione dell’Egitto, ha svelato cosa sia l’Egitto e cosa avviene in quel Paese. Ora è sotto gli occhi di tutti cosa sia la dittatura egiziana e come vengano sistematicamente violati i diritti umani». Aver ripristinato i rapporti diplomatici con l’Egitto non ha portato ad alcun risultato nella richiesta della verità sulla morte di Giulio. Per questo motivo Claudio Regeni, ha chiesto nuovamente di richiamare in Italia l’ambasciatore italiano a Il Cairo, Gianpaolo Cantini.

«Dal mese di agosto del 2017 – ha ricordato il padre di Giulio – quando è stato deciso di rinviare l’ambasciatore italiano Gianpaolo Cantini a il Cairo, che attendiamo la collaborazione del governo egiziano. Quando è stato deciso dal governo Gentiloni di rinviare l’ambasciatore in Egitto, uno degli scopi principali annunciati, era la ricerca di verità e giustizia per Giulio. Purtroppo questo punto è stato messo in secondo piano, dando priorità alla normalizzazione dei rapporti tra Italia e Egitto, sviluppando i reciproci interessi in campo economico, finanziario e militare come testimonia la recente vendita delle fregate Frem».

«Si è cercato di evitare qualsiasi scontro, con l’adozione della strategia del dialogo, interpretato esclusivamente in campo affaristico e politico, senza mai menzionare la sistematica violazione dei diritti umani. L’ambasciatore Cantini è una chiara dimostrazione di tutto ciò, quindi ribadiamo la necessità di richiamarlo in Italia per consultazioni e comunicazioni. Per dare al governo egiziano un segnale di insoddisfazione per la mancata collaborazione e poi per dimostrare dignità e coerenza rispetto ai valori democratici proclamati dalla nostra Costituzione», ha concluso Claudio Regeni.

«L’Egitto è un Paese che calpesta i diritti umani», ha affermato l’avvocato della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. I genitori di Giulio, ha aggiunto, «da 5 anni combattono questa battaglia senza arretrare di un centimetro, perché sentono che i diritti sono indivisibili e inalienabili. Potevano chiudersi nel loro dolore ma invece hanno condotto questa battaglia senza un minuto di pausa e l’hanno messa a disposizione di tutti. Vorremmo stessa fermezza e abnegazione da parte di chi ci governa». «Vogliamo sentire che chi ci governa agisca e sappia che la giustizia non è barattabile e che senza giustizia non ci sono libertà», ha concluso Ballerini. Cosa hanno da dire il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio? Il silenzio inerme suona come una vergognosa complicità con gli aguzzini, mandanti ed esecutori, di Giulio Regeni. Un cittadino italiano.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.