Dieci giorni, 240 ore, 14.400 minuti, mai successo in ventisette mesi di governo. Giuseppe Conte non rilascia intervista né dichiarazioni a margine, non fa conferenze stampa né scrive post sui social dal 19 agosto. Quel giorno, in una lunga intervista al Fatto Quotidiano spiegò tutte le “buone ragioni” di opportunità e di merito per cui Pd e M5s dovevano, in zona Cesarini, fare liste comuni “almeno in Puglia e nelle Marche”, le due regioni che al voto il 20 settembre decideranno se per la maggioranza sarà una Caporetto o una sconfitta accettabile.
Ma quello di Conte è stato un jolly bucato visto che il 20 agosto alle ore 12 i 5 Stelle hanno ufficializzato il loro No ad ogni accordo locale (tranne in Liguria) nonostante una settimana prima la votazione su Rousseau avesse dato il via libera con il 60 per cento delle preferenze.
Uno smacco pesante. Per Conte. E per la segreteria dem che sull’accordo strutturale con i 5 Stelle ha investito, nel senso ingoiato parecchi bocconi amari, in questi dodici mesi di governo.
Il silenzi di Conte: sintomo di una difficoltà politica che ormai non è più possibile nascondere nonostante la tattica del temporeggiatore e del rinvio? O scelta tattica del suo staff comunicazione in genere molto aggressivo?
Palazzo Chigi replica che “il Presidente è al lavoro in ufficio. È impegnato nei tavoli di coordinamento su scuola e immigrazione. È stato a Genova (14 agosto) e a Amatrice (24 agosto)”. In memoria della tante vittime di un Paese fragile, che crolla, uccide e però non riesce a togliersi dalle sabbie mobili della burocrazia. A dir la verità Conte ha fatto anche molto il ministro degli Esteri in questi giorni di questa strana estate: il 17 agosto c’è stata la telefonata con il presidente turco Recep Erdogan; il 19 agosto ha fatto una video conferenza con i capi di stato e di governo della Ue sulla Bielorussia; il 25 agosto ha avuto una lunga telefonata con il ministro degli Esteri cinesi Wang Yi; il 26 con Putin.
Un’agenda intensa, senza dubbio. Ma vistosamente lontana dai dossier italiani, che sono tanti e tutti proiettati a creare un super ingorgo parlamentare-governativo. E che i vari leader e alcuni ministri gli hanno messo sul tavolo negli ultimi mesi con preghiera di attenzione. E richieste di soluzione. Stare a palazzo Chigi adesso sarebbe un mestiere difficile per chiunque e una missione incerta per tutti. Ma non è questo che suggerisce il silenzio a Conte a cui non è mai dispiaciuto “comunicare”. La sensazione, invece, è che anche il premier adesso abbia realizzato che quella del prossimo mese potrebbe essere una partita senza ritorno. E senza pareggi, cioè senza quei rinvii da lui fin qui prediletti. Il problema, infatti, non è che non risponda alle opposizioni. Ma che non risponde agli appelli della sua maggioranza.
Sull’immigrazione c’è stata l’operazione a tenaglia SalviniMeloni e Musumeci. Una situazione oggettivamente critica, non tanto per i numeri (17 mila sbarchi sono gestibili in situazioni ordinarie) ma per l’obbligo di quarantena per chi arriva e il fermo, sempre causa Covid, nei rimpatri in Tunisia.
La ministra Lamorgese aveva posto a maggio la questione all’attenzione del governo che però era impegnato in altro. Il risultato è che Salvini si è permesso di dare della “criminale” alla ministra e al governo. E Conte non è intervenuto.
Conte tace, ed è un silenzio molto pesante, sul referendum sul taglio dei parlamentari. Negli ultimi dieci giorni le ragioni del No stanno conquistando posizioni ed diventata chiara la partita politica che c’è dietro il voto: far vincere il No “vuol dire dare la spallata finale si 5 Stelle e al governo Conte”. Il segretario dem Nicola Zingaretti, che ha “convinto” a ottobre 2019 il Pd a votare Sì in aula in nome della tenuta della neonata coalizione, sta chiedendo aiuto al premier in questi giorni. La base del partito non è convinta di pagare “il prezzo” all’antipolitica. E mormora. Zingaretti ha chiesto a Conte, con varie interviste, di far rispettare i patti sottoscritti: approvare almeno in un ramo del parlamento la nuova legge elettorale e i correttivi costituzionali. Impossibile visti i calendari delle Camere e lo stop forzato nella settimana che precede il voto.
Il popolo del Pd,e non solo, voterà molto probabilmente in piena libertà di coscienza. Ma che succederà se i Cinque Stelle dovessero perdere la loro bandiera? Il silenzio di Conte è una riposta.
Anche Matteo Renzi ha lasciato ai suoi libertà di coscienza. Parlare di riforme costituzionali con l’ex premier è terreno minato. Renzi ieri ha fatto una domanda chiara al premier: quando decidi per il Mes? “Questi soldi devono arrivare ora e subito. Solo allora sapremo se Conte vuol fare il premier o il leader dei 5 Stelle”.
Il silenzio di Conte riguarda anche la ministra Azzolina, nel mirino per la scuola e la ripartenza. Banchi, distanze, mascherine, mezzi pubblici, i professori che si danno malati: le opposizioni hanno pronta una mozione di sfiducia per la prossima settimana. Il problema è che anche il Pd vede nella data del 14 settembre “ il momento della verità per la tenuta del governo Conte”. Bastava leggere ieri l’intervista al capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci in cui ha definito la ministra “inadeguata”. Che dire poi dell’amico Arcuri coinvolto come commissario prima per le mascherine e poi per i banchi su cui fioccano interrogazioni? Anche a lui Conte non sussurra più una parola. In pubblico almeno.
E allora siccome in politica gli indizi sono importanti e poco o nulla accade per caso, significa molto che ieri Renzi per la prima volta abbia parlato di “rimpasto e governo tecnico per gestire la grande, e unica, occasione che l’Italia ha per ripartire”. Silenzio di Conte.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.