L’Università americana John Hopkins ha pubblicato sul suo sito internet un glossario Lgbt, su disposizione dell’ufficio interno per la diversità e l’inclusione. In questo dizionario del politicamente corretto le lesbiche sono “non man”, “non uomini”, attratte da altri “non man” “non uomini”, spiegando che mentre le definizioni precedenti definivano le lesbiche come donne sessualmente attratte da altre donne, la definizione aggiornata intendeva includere persone non binarie che potrebbero identificarsi non identificarsi con l’“etichetta” di donna. Per definire i gay, al contrario, si è usata l’espressione uomini. Travolti dalle critiche, provenienti soprattutto da associazioni di lesbiche e femministe, l’Università è stata costretta a rimuovere il glossario.

Megan Christin, responsabile della comunicazione, ha rilasciato una parziale spiegazione: “Il glossario Lgbtq funge da guida non esaustiva della gamma di identità e termini utilizzati all’interno delle comunità Lgbtq e non intende fornire risposte definitive su come tutte le persone comprendono o utilizzano questi termini. Sebbene il glossario sia una risorsa pubblicata sul sito web dell’Office of Diversity and Inclusion della Johns Hopkins University, le definizioni non sono state riviste o approvate dalla leadership dell’Odi e il glossario in questione è stata rimossa in attesa di revisione”. Senza tuttavia prendere le distanze dalla cancellazione forzata del termine donna.

Una scelta singolare, quella dell’Università americana? Niente affatto. La “religione woke”, che nega la storia e la scienza, la abbiamo raccontata a lungo e continueremo a raccontarla su questo giornale. Un movimento, ormai preponderante negli Usa e in Gran Bretagna, che cancella l’arte, brucia i libri, censura film in nome di una presunta inclusività. Ma alla radice di tutto ciò, c’è quella che i teorici della cancel culture chiamano “decostruzione culturale”. Partendo dal principio per cui l’Occidente colonizzatore deve espiare le sue colpe, si “decostruisce” la realtà, fino a negare l’esistenza del sesso biologico. E questa decostruzione passa anche e soprattutto dal linguaggio. Ed ecco spiegato il “no man”.

E quando qualcuno osa spiegare l’ovvio, vale a dire che non si può prescindere dal sesso biologico, viene travolto dalla violenza dei sacerdoti ultraprogressisti. Eppure il fattore biologico (il ciclo mestruale, la gravidanza, il parto, il fisico) non è un fattore che si può immaginare possa essere anche lontanamente trascurabile. Si pensi alla maternità e a come questa incida nelle politiche sociali e di inclusione della donna nel mondo del lavoro. O allo sport, dove la costituzione fisica di una donna sarà sempre diversa da quella di uomo. Questo non vuol dire che non debbano essere protetti, difesi, tutelati i diritti delle persone trans. Sono due piani diversi che nulla hanno a che fare l’uno con l’altro. Cancellando la biologia, si cancellano anche i diritti delle donne.

Diritti che ancora non sono pienamente rispettati in buona parte del mondo e che necessitano di spinte ulteriori anche in Occidente. Diritti che sono frutto di battaglie e conquiste faticose. E che a tornare indietro su questo sia proprio la sinistra, è paradossale. Viviamo in una società in cui la donna è ancora pagata meno dell’uomo a parità di mansione. In cui ancora la donna è costretta a scegliere fra carriera e famiglia. Eppure, in nome di un falso progresso, di una tutela delle minoranze che diventa aggressione verso le maggioranze, si sta tornando indietro.

Il problema, come già denunciato, non riguarda solo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna ma investe ormai anche l’Europa. Il Riformista aveva raccontato la vicenda dell’Università di Grenoble, la cui delibera scritta con “linguaggio inclusivo” era stata annullata dal tribunale amministrativo francese. Un’inchiesta de Le Figaro ha dato conto nei giorni scorsi di come in Francia il fenomeno sia ormai dilagante. Nonostante le indicazioni del Governo, nonostante i precedenti dei tribunali, le università, in assenza di una legge precisa, continuano a imporre la loro ideologia con la lingua.

La ribellione però è altrettanto attiva. Non solo femministe, lesbiche, intellettuali di sinistra. Ad Ottawa, dopo che le scuole avevano deciso di chiamare i piccoli alunni con pronomi neutri, sono scesi in pizza cristiani e musulmani. Il rischio di tutto ciò, oltre ovviamente e soprattutto alla compressione dei diritti di donne e bambini e alla negazione della libertà di espressione, è che le ali di destra più estrema cavalchino la protesta in chiave omofoba. Perché sì, chi difende certe scelte da sinistra dovrebbe anche rendersi conto che i migliori amici di Trump sono proprio i liberal: estremizzando, fanno sí che vi sia la risposta opposta.
Sottovalutare la portata estremista e illiberale di questi movimenti è un errore che le democrazie liberali non possono permettersi.
Cancel Women? No, grazie.

Benedetta Frucci

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