Il futuro della politica
Alla cultura di sinistra serve Gramsci, altrimenti brancola nel buio
Come postilla a quanto già egregiamente scritto domenica scorsa da Corrado Augias, a proposito di un discutibile tira e molla che è intercorso tra governo e opposizione con riferimento alla semplice possibilità di citare nel dibattito pubblico una figura intellettuale come quella di Ernest Renan, è forse il caso di rammentare il ruolo assai rilevante che il saggista francese assume in alcune pagine dei Quaderni. La celebre formula gramsciana della “riforma intellettuale e morale” (come sviluppo dinamico del nesso “Riforma protestante + Rivoluzione francese”) è per l’appunto rubata dal libro La Réforme intellectuelle et morale di Ernest Renan che Gramsci cita nell’edizione del 1929. L’oblio dei Quaderni nella cultura politica (purtroppo anche della sinistra) è tale che si azzardano prove mediterranee di cancel culture senza un minimo di supporto filologico-critico.
Attraverso l’esempio di pensatori come Renan, Gramsci riflette sulle modalità attraverso cui “il grande scrittore si particolarizza”. Egli cioè esplora come dalla cultura generale un prodotto creativo della mente penetra nello specifico nazionale. L’occasione del confronto teorico è per lui utile al fine di smontare “l’equivoco del nazionalismo”, senza però rinunciare all’identità civile di un paese. Riferendosi a Goethe, Stendhal e appunto, in diversa misura, a Renan, Gramsci precisa che la loro opera consente di stabilire in maniera trasparente che “nazionale, cioè, è diverso da nazionalista. Goethe era «nazionale» tedesco, Stendhal «nazionale» francese, ma né l’uno né l’altro nazionalista”. Rammentando “l’ammirazione di Sorel per Renan”, i Quaderni cercano di impostare in termini nuovi il problema della nazione e, con esso, la questione del rapporto tra cultura e popolo, tra élite e massa, tra classe e filosofia. La “scienza politica” creata dalla filosofia della praxis, secondo Gramsci, per uscire da una certa arretratezza cognitiva (il pensiero critico del suo tempo gli sembra incollato alla “sua fase popolaresca” ovvero stretto come un “aspetto popolare dello storicismo moderno”) deve risolvere un rapporto problematico toccato anche da Renan: l’eredità del Rinascimento, della Riforma e della Rivoluzione francese nella gestazione del moderno.
La fortuna di Renan in Italia era legata al recupero, tra gli esponenti di spicco della storiografia laica, di una sua tesi centrale: è impensabile una moderna civiltà politica liberale senza una precedente riforma religiosa. Escludendo che il problema italiano sia di teologia politica, e quindi riconducibile alle manovre per la sostituzione del vecchio dettato religioso con un credo riformato, Gramsci se la prende proprio con “i puri astrattisti” alla Missiroli che aspettano “una riforma religiosa in Italia, una nuova edizione italiana del calvinismo”. Non è però la mancanza di categorie care al protestantesimo il cuore dell’arretratezza italiana. Su queste basi, i Quaderni avvertono che “la posizione del Missiroli sulla quistione del «protestantesimo in Italia» è una deduzione meccanica dalle idee critiche del Renan e del Sorel”. Il confronto critico con il laicismo liberale, che dalla progettualità della politica si trasferisce al terreno teologico, suggerisce a Gramsci di annotare: “A proposito del protestantesimo in Italia, ecc. Riferimento a quella corrente intellettuale contemporanea che sostenne il principio che le debolezze della nazione e dello Stato italiano erano dovute alla mancanza di una riforma protestante, corrente rappresentata specialmente dal Missiroli. Il Missiroli, come appare, prese questa sua tesi di peso dal Sorel, che l’aveva presa dal Renan (poiché Renan una tesi simile, adattata alla Francia [e piú complessa] aveva sostenuto nel libro La riforma intellettuale e morale)”.
La Riforma protestante, luterana e calvinista, in alcuni paesi generò in effetti anche un mutamento delle coscienze e delle concezioni etico-politiche con salde radici “nazionali-popolari”, diventando in tal modo la radice della modernità capace di saldare élite e popolo. In Italia, invece, la sensibilità protestante rimase una mera tendenza di élite. Ma la debolezza del modello politico e sociale italiano per Gramsci non si cura certo con un cambiamento di confessione religiosa che sostituisca la predicazione del clero romano. Anche in Francia, dopo la “vittoria apparente” riportata dai cattolici nelle guerre di religione, si sviluppò una “grande riforma intellettuale e morale del popolo francese”. Prima di penetrare nella società, l’impulso etico e teorico fu certamente un fenomeno di “alta cultura”, che si segnalò con i grandi prodotti sfornati nel campo della “scienza politica nella forma di scienza positiva del diritto”. La filosofia divenne però cultura e infine si tradusse anche in una politica effettuale. Per questo Gramsci rammenta a più riprese “il valore storico reale e non astratto che il giacobinismo aveva avuto come elemento creatore della nuova nazione francese”.
Per quanto concerne l’Italia, i Quaderni rimarcano la fragilità del teorema di Proudhon e di Renan secondo cui alla filosofia si dedicano le classi alte, mentre ai parroci di campagna tocca l’impresa di educare alla meglio un popolo ammorbato dal pregiudizio. Tra filosofia e popolo Gramsci introduce la nozione di cultura intesa come fenomeno collettivo, costruzione di un senso pragmatico. Come eredità-compimento della cultura moderna (Rinascimento, Riforma, calvinismo, Illuminismo, Rivoluzione francese, nascita dell’economia politica, liberalismo laico e storicismo), la filosofia della prassi avrebbe dovuto costruire per lui la mediazione tra idee e passioni, ragione e sentimento. Impregnato ancora di “pregiudizio e superstizione”, il marxismo appare invece troppo in ritardo nel “sollevare continuamente nuovi strati di massa ad una vita culturale superiore”.
Mentre accanto a Renan anche i tradizionalisti cattolici e gli astratti laici negano la possibilità stessa di favorire un senso critico diffuso tra i ceti popolari e predicano il rispetto dovuto al sentimento comune staticamente venerato, il socialismo è un movimento reale che deve scavalcare il sentire immediato in vista della costruzione di una prospettiva critico-sistematica. È evidente anche dalla stucchevole querelle sul presunto razzismo-nazionalismo di Renan che negli ultimi tempi la qualità del ragionamento in Italia è incredibilmente regredita iniettando, nel popolo e nelle pretese élite politiche, dosi massicce di pregiudizi e superstizioni postmoderne. L’abbandono delle ceneri di Gramsci al loro destino ha prodotto solo dei visibili fenomeni degenerativi contrassegnati da cenni di barbarie politico-culturale. È sempre più chiaro che, se non “torna Gramsci”, la cultura politica di sinistra brancola nel buio e viene agevolmente infilzata dalle credenze della più improvvisata reazione ideologica.
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