Eurotangentopoli, la foga manettara del Pd
Lo scandalo Qatar serve solo a togliere attenzione dai temi della sinistra
Pierferdinando Casini ha detto che bisogna cacciare i mercanti dal tempio. Riferendosi allo scandalo Qatar. Non ho capito bene se Casini sia del Pd, mi pare di sì, lo hanno eletto senatore a Bologna, credo. Comunque non è il solo tra i dirigenti, o comunque tra le persone celebri del Partito democratico e del centrosinistra, ad essersi mostrato indignato per i soldi arabi a funzionari europei. Molto indignati.
Elly Schlein ha scritto alla Stampa, Orlando ha tuonato su Twitter, Bonaccini non si è tirato indietro, e poi tanti, tanti, tanti altri, alla coda di Conte, di Grillo e di tutti i giornali di destra (Libero, Il Fatto Quotidiano, Il Giornale, la Verità) o – forse – di sinistra, come Repubblica, o di centro come il Corriere della Sera. Si grida alla questione morale, si invoca Berlinguer. Lo invocano tutti. Soprattutto quelli che non hanno la minima idea di chi sia stato Berlinguer. E sui giornali si inseguono i titoli copiati di sana pianta da quelli che erano stati fatti nel 1992 dai genitori o dai nonni degli attuali caporedattori. La forma verbale più usata è la terza persona singolare del verbo “spuntare”. I giornalisti la adorano quella forma verbale: “spunta”. È breve, sta nel titolo facilmente, e non vuol dire niente. “Spunta” una traccia, “spunta” una prova, “spunta” un nome, un legame, un partito. Cosa vuol dire “spunta”? Vuol dire che non c’è, non c’è niente per ora ma non si sa mai. “Spunta” è un termine senza il quale il giustizialismo mediatico non potrebbe esistere.
Un po’ come l’espressione completa “non poteva non sapere”. Che vuol dire non poteva non sapere? Beh, che non ho prove contro di lui, a occhio non ha fatto niente di male, ma io credo che qualcosina l’abbia sentita dire… Il clima è tornato quello. Quello dei primi anni Novanta. Allora, con l’arresto di vagonate di socialisti, pullman di democristiani e qualche comunista minore, il Pci – appena sciolto ma ancora esistente – pensò di avere trovato l’uovo di Colombo: i grandi cambiamenti sociali ed economici che iniziavano e la caduta del muro di Berlino ne avevano messo in crisi e reso obsoleta la politica, ma Tangentopoli si annunciava come uno strumento di resurrezione. Facile, immediato. E subito si tornò a pubblicare l’intervista di Berlinguer di 13 anni prima: questione morale. L’idea era quella: basta sostituire la politica con la morale e il gioco è fatto: vinciamo noi.
Persero. Poi si ripresero, qualche anno dopo, sfruttando la spinta internazionale di una sinistra moderata e liberista, guidata da Clinton e da Blair, che tagliò l’erba sotto i piedi alla destra, le tolse l’ossigeno e il ruolo, e dominò l’Occidente per una decina d’anni accettando il compito di sostegno al capitalismo. Per poi scomparire, lasciando macerie. Scombussolata e ferita dalle scelte moderate e antisocialiste, e deprivata anche di un gruppo dirigente solido e pensante. La sinistra liberista e blairiana cancellò le enormi capacità di elaborazione politica che la sinistra aveva avuto nei cinquant’anni precedenti, e il conto per quel disastro non è stato ancora pagato. Rieccoci lì. Nella convinzione che il problema che sta davanti alla società moderna occidentale sia la questione morale. Cioè la corruzione di alcuni suoi esponenti, talvolta vera, spesso immaginata. E dunque che la soluzione di ogni problema strategico vada cercata nel rafforzamento del ruolo della magistratura e delle scelte repressive.
È in questo clima che è cresciuto a dismisura il Movimento cinque stelle, capace di raccogliere una spinta reazionaria e antipolitica che – se non viene fermata – porta inevitabilmente all’affermazione di una società autoritaria e antidemocratica, dominata da piccole caste burocratiche – come appunto la magistratura – e dalle corporation. Il problema però non è il clima, che sicuramente è fetido e un po’ fascista. Il problema è quello dello sbando al quale si consegna la sinistra. C’è un congresso in corso. Se si ridurrà – come sembra – a una corsa al traguardo del moralismo, la sinistra è finita. Non ha ragione d’essere. Diventerebbe un pezzo del grillismo e basta. Io sono davvero stupito di fronte al silenzio della sinistra su quelli che a me sembrano i grandi problemi che ha davanti a sé. Ne cito alla rinfusa qualcuno: migranti, detenuti, operai, rapporto tra salari e profitti, rapporto tra stato e mercato, rapporto tra diritti e sistema delle pene, e poi gli storici problemi di sempre: sanità, scuola, riforma del welfare.
A me pareva che i temi fossero questi. E che è su questi temi che il Pd deve schierarsi, pensare e innovare. Produrre politica e pensiero. Prendete la questione del lavoro. Sento un silenzio tombale. Al massimo si riesce a ripetere qualche slogan del passato. Sui salari, sugli orari. Ma non sarà necessario provare a rielaborare un pensiero politico e sociale sul problema del lavoro? Tenendo conto dei suoi cambiamenti, della rivoluzione tecnologica, della trasformazione della produzione, dei suoi metodi, dei suoi tempi, del suo mercato? C’è o no un problema di relazioni tra lo Stato e il mercato che non può essere più quello di vent’anni fa perché la storia ha travolto sia il vecchio sindacalismo sia i principi sacri e friabili del liberismo? E c’è un problema di relazioni tra salari e profitti, e forse di inversione della subalternità degli uni agli altri? E c’è da ragionare sul fatto che gli strumenti più semplici e tradizionali del conflitto di classe – gli scioperi – hanno perso il novanta per cento della propria forza, per via della fine del fordismo? E dunque tutto il sistema delle lotte va reinventato.
A me non sembra di parlare di filosofia. A me questa sembra politica. Più della caccia a Panzeri. E a me sembra politica la domanda sui migranti. La sinistra europea deve considerarli solo un ostacolo al consenso? O invece può disegnare una strategia dell’accoglienza che coniughi i principi fondamentali dell’umanità, propugnati dalla Chiesa, con un’idea di integrazione, di creazione di nuove forze lavoro e di nuove socialità, e di nuove culture, che non nuocciono ai paesi di arrivo ma li rendono più forti? E ancora: può esistere una sinistra che di fronte alle battaglie impopolari si tira indietro impaurita? Sì, le carceri, fatemelo dire: vanno abolite. E la sinistra non sarà mai vincente – nel senso di egemonica, parlo di Gramsci – se non sarà capace di imporre questo tema che è uno dei temi fondamentali della modernità. Non esiste la modernità con la barbarie di 60 mila prigionieri. È un ossimoro. Non può esistere, in questo secolo, una sinistra che non sia garantista.
Ho solo gettato lì dei temi. Ma di una cosa sono straconvinto: non si ricostruisce un partito, o un’area politica, consultando i sondaggi anziché la cultura e il sapere. Non si ricostruisce pensando che l’unico obiettivo di un partito sia governare, cioè infilarsi nell’alleanza vincente. Quella è amministrazione, non è politica. Tanti anni fa feci parte di un partito che tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta governò l’Italia senza mai entrare al governo. Quello era riformismo.
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