La Procura di Catanzaro ha impugnato l’ordinanza del tribunale di Vibo Valentia che concedeva gli arresti domiciliari all’avvocato Giancarlo Pittelli. La Procura chiede che Pittelli torni in cella. Non lo molla, lo vuole in ceppi. Vivo o morto. Ho scritto “la Procura”, ma subito traduco: Gratteri. Sì, di nuovo lui. Indomito. Il Procuratore capo di Catanzaro. Il giorno prima il magistrato aveva incassato senza neanche sollevare il sopracciglio la sberla dell’assoluzione di Mimmo Tallini, ex presidente del Consiglio regionale della Calabria, che era stato messo ai domiciliari un paio d’anni fa e poi trascinato nella melma con infamanti accuse, anche se già dall’ordine d’arresto persino un bambino avrebbe capito che contro di lui non c’era niente di niente di niente.

Era stato Gratteri a ottenere dal Gip il permesso di arrestare Tallini e poi di mandarlo a giudizio. Conferenze stampa, dichiarazioni, passaggi in Tv. Molta gloria, molti applausi da giornali e media. Anche dai politici. Persino Salvini si spellò le mani. Credo che noi del Riformista fummo tra i pochi a difenderlo. E lui, Tallini, rovinato, distrutto, politicamente finito. Perché? Diciamo, con gentilezza, per un errore dei magistrati. Di Gratteri e del Gip. Del Gip non si conosce neanche il nome, di Gratteri sì. E lui è contento che si conosca, e non disdegna mai un comizio in Tv. Ha una capacità rara di prendere spaventosi schiaffoni senza conseguenze né pratiche e neppure morali. Reagisce sorridendo. Pensate a quella volta che fece arrestare 200 persone in una sola notte, a Platì (circa il 10 per cento della popolazione) e poi alla fine di tutti i processi otto furono condannati (a pene lievi). Gli altri 192 risultarono innocenti. Subì qualche graffio la carriera di Gratteri? Macché, solo inviti in Tv a spiegare come si combatte la ‘ndrangheta, e lezioni agli studenti, e premi vari. Infine la promozione a Procuratore di Catanzaro. E intanto la ndrangheta, che quando lui iniziò il suo lavoro in Calabria era una piccola associazione criminale, cresceva cresceva, fino ad essere considerata, oggi, la mafia più potente del mondo.

Ora c’è la caccia a Pittelli. Lo hanno accusato di essere l’anello di congiunzione tra ‘ndrangheta ufficiale e zona grigia. Sulla base di qualche indizio concreto, prova, testimonianza attendibile? No, sulla base di nulla. Di una ipotesi. Che poi l’ipotesi è questa: se Pittelli, in quanto avvocato, spesso difende i mafiosi, probabilmente è mafioso anche lui. Tutto qui. È la vecchia idea che l’avvocato, in fondo, è correo. E che forse sarebbe meglio, per alcuni reati gravi, negare il diritto alla difesa. Disse una volta Gratteri: i tavoli della difesa, in aula, sono troppo vicini a quelli degli imputati…. E infatti le accuse specifiche contro Pittelli, che portarono al suo arresto a Natale 2019, son cadute una dopo l’altra. È rimasta l’accusa quadro, ma è un quadro vuoto. L’accusa cioè di concorso esterno in associazione mafiosa. A qual fine? A nessun fine. Con quali riscontri? Nessun riscontro. Giusto qualche intercettazione di seconda mano. Per esempio quella nella quale un presunto mafioso, che era intercettato col troian, dice alla moglie: “qui abita Pittelli”. E la moglie risponde: “è mafioso”. L’intercettazione viene considerata dagli inquirenti come chiara prova di colpevolezza.

Poi gli avvocati chiedono di sentirla perché non si fidano della trascrizione. E si accorgono che è stata trascritta male. La moglie non aveva detto: “è mafioso”. ma aveva chiesto: “è mafioso?” Nella trascrizione – che disdetta! – era saltato il punto interrogativo. Ed era saltata anche la risposta del presunto mafioso. Che diceva alla moglie: “no, non è mafioso, è avvocato”. Una prova a discarico, che avrebbe dovuto chiudere l’inchiesta su di lui, ma che fu trasformata in prova a carico. Grazie a una “piccola” manipolazione. E chi paga? Paga lui. Pittelli. Un anno a Badu ‘e Carros, vicino a Nuoro, nel carcere dei terroristi e dei killer di mafia, lontanissimo, quasi irraggiungibile dai suoi familiari e persino dagli avvocati, poi un po’ di domiciliari, poi di nuovo in carcere a Melfi, sempre in un istituto di massima sicurezza. Hai visto mai che Pittelli finisca per accoppare un po’ di agenti, faccia saltare un muro con la dinamite e fugga in mare con un motoscafo veloce fino ai Caraibi?

Pittelli per uscire dalla prigione di Melfi aveva iniziato uno sciopero della fame. Lungo, pericoloso. Aveva anche smesso di prendere le medicine. Aveva detto: “vado fino in fondo, fino alle estreme conseguenze”. Era partita una raccolta di firme a suo favore. Alla fine il tribunale aveva ceduto e aveva deciso di rimandarlo a casa. Da qualche giorno l’avvocato Pittelli stava riprendendosi, anche se le condizioni della sua salute restano preoccupanti. Ma Gratteri non molla. Lo vuole in carcere. Ormai è un fatto personale. Interverranno le autorità per fermarlo? Il Csm, il ministro, gli ispettori, Draghi, qualcuno? O lo Stato Italiano lascerà questo suo cittadino nella mani dei suoi persecutori? Lascerà che muoia torturato, senza processo, senza accuse, senza prove?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.