Il Garante irritato per i mancati compensi
Grillo batte cassa, commissaria Conte e convoca Tridico e Appendino: “Uscite dai palazzi, torniamo in piazza”
Non c’è più la Roma del Marchese del Grillo, e neanche quella di Giuseppe Conte. Due interpreti del Vaffa di tempi diversi, e diversamente aristocratici. Il primo scorrazzava in carrozza e il secondo con una vecchia Jaguar, entrambe da fermare nello stesso punto: in fondo alla Salita del Grillo, dove il Mercato di Trajano lambisce via Cavour. Lì ha sede oggi quell’Hotel Forum che è diventato il Quartier generale di Beppe Grillo a Roma. Il nido dell’aquila in cui il capo riceve i suoi colonnelli.
È lì, dalla terrazza con la vista più panoramica di Roma, che Grillo sente di dominare ancora il suo mondo. Negli incontri che per due giorni si sono succeduti nel salone d’ingresso il Garante ha rispolverato il suo scettro del comando. Ed è tornato a far capire chi è che conta davvero, nel Movimento che ha cofondato insieme con Gianroberto Casaleggio. E che però ha bisogno, oltre agli onori della storia, di un adeguato compenso. Non a caso il primo degli incontri che ha in agenda è con Claudio Cominardi, il tesoriere del Movimento. Primo punto all’ordine del giorno: il rinnovo del contratto di collaborazione del garante con i Cinque Stelle.
Un rinnovo che continua a slittare e che, secondo i ben informati, avrebbe messo il Garante di malumore. Non si tratterebbe di riserve sull’effettività della sua consulenza in termini di comunicazione, come maligna qualcuno. Ci sarebbe invece un problema pratico: le casse del Movimento languono. Non versa più nessuno quella “restituzione” che segnò gli albori dell’ingresso dei pentastellati nell’agone del Parlamento. Grillo per ora fa credito. Non può fare diversamente. E mentre attende, sempre più impaziente, guarda a Conte con occhi disincantati. Lo convoca per parlare dell’organizzazione della manifestazione lanciata dal M5S per il prossimo 17 giugno a Roma sul tema del lavoro: una occasione per rilanciare l’iniziativa di un M5S ormai moribondo in cui saranno mobilitati, in un canto del cigno morente, quanti più parlamentari e attivisti per riempire la piazza.
Convoca Chiara Appendino e parla riservatamente con lei, due volte. Poi la introduce in una conversazione a tre con Conte, del quale è facile intuire il disappunto. Quindi, insieme a Conte, fa entrare in sala un altro nome che ha servito nei ranghi delle istituzioni: il presidente uscente dell’Inps, Pasquale Tridico. La manifestazione si intitolerà “Basta vite precarie” e potrebbe essere una buona metafora di come si sentono appesi a un filo i parlamentari grillini. Nessuno crede più, in prospettiva, al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il reddito di cittadinanza sfuma, e con esso la possibilità di far abboccare nuovo consenso. Così Grillo per tre ore sciorina ai parlamentari convocati al Forum la sua idea: “Uscite dai palazzi. Torniamo nelle piazze”, il mantra con cui ha sferzato i peones. Una messa contata cui Francesco Silvestri, capogruppo 5S alla Camera, ha fatto seguito: “L’opposizione si fa anche fuori dal Parlamento, sono tutte prerogative di un’attività sana, non va vista come un elemento di minaccia ma come la voglia del M5s di affermare le proprio posizioni”.
Per il resto, gli incontri sono andati avanti a porte chiuse, com’è tradizione del Movimento che aveva predicato lo streaming per gli altri e la massima blindatura per se stesso. Si sarebbe trattato di un “corso di autoformazione” – è la spiegazione ufficiale – a porte chiuse, con un gruppo di parlamentari ed ex del M5s. I prossimi appuntamenti sono coperti da segreto, però trapela che ce ne saranno anche di carattere politico. Fra i partecipanti all’incontro, oltre a Chiara Appendino, altre due donne su cui Grillo punta molto: Paola Taverna e Nunzia Catalfo. La manifestazione del 17 giugno potrebbe essere aperta ad altre forze di opposizione.
Facendone quindi una piattaforma aperta. Conte non esclude il lavoro di squadra: “Siamo disponibili. Anche sul tema della sicurezza vorrei che nel campo progressista ci fosse una seria valutazione, non lascerei questa prospettiva solo alla destra. Su questo vorrei che sfidassimo il governo”. Dal Pd, orecchie da mercante. Ci sono altri problemi, d’altronde. La caccia grossa ai De Luca, per esempio. Padre e figlio. Avversato il primo come governatore – poi il Pd ci dirà dove pensa di prendere i voti, con quale nome correrebbe una campagna fatta per perdere – ora viene recriminato anche il secondo. Non può fare più il vice capogruppo alla Camera. E’ la mancata conferma di De Luca, viene riferito, ha agitato le acque del gruppo, riunito ieri, portando diversi deputati a non partecipare al voto sul ‘pacchetto’ proposto dalla presidente Chiara Braga. Lorenzo Guerini alza i toni: “Non ho posto un tema di equilibri. Ma che non posso accettare i processi a un cognome. E che si è sbagliato trasformare questo passaggio nella ricerca di uno scalpo politico. Tra l’altro ancora più ingiusto nei confronti di una persona stimata da tutti i suoi colleghi. E quindi non ho partecipato al voto”.
Una squadra che vede la deputata di Base Riformista Simona Bonafé nel ruolo di vicepresidente vicaria. Ci sono poi il cattolico Paolo Ciani, deputato di Demos eletto nelle liste del Pd, l’esponente della sinistra del partito Valentina Ghio e il lettiano Toni Ricciardi ad occupare i quattro posti di vicepresidenti. Segretari d’Aula sono Andrea Casu e l’esponente di Articolo Uno, Federico Fornaro.
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