Giuseppe Conte deve fare i conti con la realtà dei risultati elettorali. Nessun sindaco eletto. Peggio: nelle città capoluogo dove è andato Conte, il 5Stelle è sprofondato. A Brindisi ha avuto l’effetto di Attila: dopo il suo passaggio, non è arrivato più un voto. Il giorno dopo, a via di Campo Marzio, la sede del Movimento a Roma è immersa in quell’aria plumbea da bunker abbandonato dopo la disfatta.

Inutile citofonare: l’avvocato del popolo non c’è. Gli elettori neanche. Le percentuali delle ultime amministrative assegnano al M5S un 2,5% che lo fotografa poco sopra ai Verdi, poco sotto Più Europa. Un esodo elettorale tanto vistoso da aver rinfocolato le speranze di alcuni dissidenti illustri, come Gianluigi Paragone e Alessandro Di Battista. La sua Associazione “Schierarsi” compie oggi due mesi e avrebbe già superato i centomila aderenti. Indovinate da dove li ha presi? Dai territori che hanno voltato le spalle a Conte. E che adesso si rivoltano, intasano le chat, si appellano a Beppe Grillo affinché faccia qualcosa.

Qualunque cosa, pur di impedire il suicidio definitivo del Movimento. Incluso rivolgersi a una figura nuova. Come quella per cui Grillo ha un debole da sempre: Chiara Appendino. Chi non ricorda il Garante, appena elette lei e Raggi, precipitarsi a Roma per improvvisare un piccolo show dalla finestra dell’hotel Forum? Armato di stampella – appunto, un appendino – aveva mimato il tripudio per la sua elezione. L’eterna emergente, da sindaca di Torino, ha avuto i suoi guai. Gli incidenti avvenuti in piazza San Carlo il 3 giugno 2017, poi la vicenda ancora opaca del suo ex capo ufficio stampa, Luca Pasquaretta, sulla quale è arrivato proprio ieri un colpo di coda. Il Pm torinese, Gianfranco Colace, ha fatto richiesta al tribunale di “Trasmettere gli atti alla procura per falsa testimonianza nei confronti dell’ex sindaca Chiara Appendino e dell’ex viceministro a Economia e finanze, Laura Castelli”.

Le riunioni dei gruppi parlamentari ribollono. Conte inizia a capire che qualcosa, nella sua strategia, non torna. “Siamo disposti a dialogare col Pd, con Schlein, senza compromettere o annacquare le nostre battaglie. Sono convinto che la Meloni non si batte con i campi larghi ma con una idea diversa di Paese”. Il malcontento non si placherà facilmente. E il nome dell’ex sindaca di Torino, indicata da qualcuno come una Schlein più concreta, da altri come una Meloni non sovranista, gira ormai nelle chat che contano. E Grillo non fa mistero di guardare alla carta della Donna come alla migliore catarsi per un’identità invecchiata male come quella del partitino contiano, infeltrito e impolverato strumento di mero potere personale.

Chiara Appendino, dal canto suo, applica il protocollo delle grandi occasioni: bocca cucita. Dal suo entourage filtra un diplomatico “È impegnata in prima persona, come sempre”. E se da un lato vengono smentiti contatti particolari con Beppe Grillo, non viene fatto mistero di come il Garante l’abbia tenuta da sempre in grande considerazione. “Se cresce? Ha una certa esperienza, rispetto ad altri. È già cresciuta e concentrata su quello che sta facendo”. Non si può dire che stia ferma. Per i comizi di chiusura delle campagne elettorali è volata perfino in Sardegna dove ha ricevuto un’accoglienza trionfale. “Come mai è volata in Sardegna? Le hanno chiesto di andare, ed è andata”. Non è da escludersi che proprio l’ultimo viaggio elettorale, in compagnia dell’ex presidente della Camera, Roberto Fico, sia servito da apripista per un ticket che dovrà guidare il Movimento con l’arduo compito di far dimenticare il passato.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.