Il lancio della missione Aspides, l’operazione europea per il Mar Rosso, segna un primo passo di Bruxelles nelle bollenti acque a cavallo tra Mediterraneo e Oceano Indiano. Dopo due mesi dall’annuncio, l’operazione, voluta in particolare da Italia, Francia e Germania, ha avuto il suo ok definitivo ieri nel Consiglio Affari esteri. Si tratta di una missione “difensiva”, come ripetuto più volte da ministri e funzionari impegnati nel negoziato per delinearne il perimetro. Una missione il cui scopo è quello di proteggere il traffico mercantile nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nello strategico stretto di Bab el Mandeb, e che da mesi è messo a dura prova dall’escalation avviata dagli Houthi dello Yemen. La milizia sciita si è ritagliata dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza un ruolo sempre più centrale nello scacchiere mediorientale, al punto che alcuni analisti hanno sottolineato che si stia sempre più rendendo autonoma anche dalle scelte dell’Iran, suo tradizionale dominus.

La missione Aspides nel Maro Rosso: i due obiettivi 

Ma nonostante il lancio della coalizione internazionale a guida Usa, Prosperity Guardian, e nonostante l’avvio di bombardamenti mirati angloamericani contro le postazioni e i missili Houthi, i combattenti yemeniti non hanno mai cessato gli attacchi contro le navi portacontainer o il lancio di droni e missili verso lo Stato di Israele. Aspides, che tecnicamente si chiama EuNavFor Aspides, si inserisce in quest’area di crisi con almeno due obiettivi. Il primo è quello tattico: difendere le navi abbattendo droni o barchini lanciati dalle forze Houthi o fungendo semplicemente da deterrente. Il secondo è quello strategico e in definitiva politico: entrare in una partita estremamente importante per gli interessi europei ma senza essere legata a doppio filo ai piani statunitensi. Motivo per cui Aspides, pur coordinandosi con Prosperity Guardian e la Task Force di Washington per il Mar Rosso, opererà in maniera autonoma.

“L’Unione europea risponde rapidamente alla necessità di ripristinare la sicurezza marittima e la libertà di navigazione in un corridoio marittimo altamente strategico. L’operazione svolgerà un ruolo chiave nella salvaguardia degli interessi commerciali e di sicurezza, per il bene dell’Ue e della più ampia comunità internazionale”, ha detto l’Alto rappresentante dell’Unione per la Politica estera, Josep Borrell. E in attesa che si entri nel vivo della missione, intanto sono già stati chiariti i ruoli. Il quartier generale sarà nella città di Larissa, in Grecia, il suo comandante è il commodoro greco Vasilios Griparis. Il comando della forza, invece, è stato dato al contrammiraglio italiano Stefano Costantino.

La guerra a Gaza, l’assedio su Rafah e il giallo sul piccolo Kfir Bibas

Mentre l’Europa si muove nello scacchiere navale del Medio Oriente, nell’epicentro della crisi, cioè ai confini di Israele, la guerra continua. E lo fa su più fronti. Nella Striscia di Gaza le truppe israeliane continuano a tenere alta la pressione su Rafah, ultima città a sud dell’exclave palestinese. Ma nello Stato ebraico a tenere banco sono le drammatiche immagini trovate dall’esercito e che mostrano il piccolo Kfir Bibas ostaggio insieme alla madre e al fratello Ariel. La scena risale ai primi giorni del conflitto, e oggi il governo israeliano non sa dire se il bambino, il più piccolo tra gli ostaggi rapiti il 7 ottobre da Hamas, sia ancora vivo. Il gruppo palestinese ha annunciato il decesso della famiglia, ma i funzionari israeliani non sono mai riusciti ad avere conferme, pur ribadendo, anche ieri, di essere seriamente preoccupati. “Il rapimento di bambini è un crimine contro l’umanità e un crimine di guerra. Ariel e Kfir sono vittime di un male mostruoso. Tutta la nostra famiglia è diventata ostaggio”, si legge in una dichiarazione della famiglia dei rapiti. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha commentato i fotogrammi definendoli “strazianti”, e ha promesso di consegnare alla giustizia i rapitori: “Non la faranno franca”.

Ultimatum Israele: con Ramadan via ostaggi altrimenti offensiva su Rafah

Ma per il premier israeliano si tratta ora di capire non solo come trovare i rapitori, ma anche come arrivare alla liberazione di chi è ancora nelle mani di Hamas. Le trattative per l’accordo sono paralizzate. Il generale Benny Gantz, membro del gabinetto di guerra ma anche leader dell’opposizione, ha detto che le Israel defense forces lanceranno l’offensiva su Rafah se entro l’inizio del Ramadan non ci sarà la liberazione degli ostaggi. Il tempo non è un alleato per l’intesa, come suggerito anche dalle personalità che hanno preso parte ai colloqui in Egitto. E il livello della tensione tra i vari attori non accenna a diminuire. Ieri Netanyahu ha chiarito che “con o senza un accordo definitivo, Israele manterrà il pieno controllo della sicurezza su tutta l’area a ovest del Giordano”. Includendo quindi anche la Striscia di Gaza ma soprattutto lanciando un chiaro segnale anche a Washington. Inoltre la notizia delle limitazioni per la moschea di Al-Aqsa per questioni di sicurezza (scelta che secondo i media israeliani sarebbe stata criticata dal ministro della Difesa, Yoav Gallant, e dallo stesso Gantz) ha scatenato l’ira dei palestinesi, con Hamas che ha invocato la mobilitazione generale. Ieri il ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese, Riyad Al-Malki, ha denunciato Israele alla Corte internazionale di giustizia per “colonialismo e apartheid”. Il governo ha respinto le accuse parlando di “una realtà fondamentalmente distorta”. Ma il segnale è che il dialogo sia azzerato anche tra Israele e Anp. A preoccupare, poi, è anche il fronte nord con il Libano. Ieri le forze armate israeliane hanno bombardato “depositi di armi appartenenti al gruppo terroristico Hezbollah” non lontano da Sidone, circa 40 chilometri a sud della capitale Beirut. L’attacco rientra in quel conflitto latente tra la milizia sciita e Israele che si è acceso con il 7 ottobre e che continua a colpi di missili da parte di Hezbollah e raid da parte delle Idf. Ma il fatto che il mirino israeliano si sia spostato più a nord del solito conferma i timori di un ampliamento del conflitto.