Se Israele incassa un colpo che, per proporzioni, è tra Pearl Harbour e l’11 settembre, la Russia invade l’Ucraina, e noi non capiamo che l’obiettivo di medio periodo siamo noi, cioè l’Occidente, mondo libero dominato dalla democrazia, abbiamo un problema. C’è una iniziativa a rate di un blocco di mondo (generalmente, regimi) tra loro eterogenei, ma con un interesse convergente: mettersi l’Occidente, cioè noi, sotto il tacco. Chi per ambizioni economiche, chi geopolitiche, chi per odio culturale o religioso. E noi? Perdiamo tempo in sciocchezze: il libro di Vannacci, o la desinenza femminile per Presidente o Architetto.
Ma qui c’è in gioco ben altro.

La globalizzazione, con cui speravamo di emancipare parti di mondo povero dandogli qualcosa da perdere e spegnendone i bollori antioccidentali, è una speranza non pienamente compiuta. In Medio Oriente i passi verso la pace (Arabia e Israele) vengono sabotati dai terroristi che vogliono il caos.
A New York e in California (non in Texas, dove ci starebbe pure) i giovani americani ti dicono: “Noi non vogliamo più risolvere problemi del mondo”. Se a dirlo è l’unica potenza militare capace di vincere contro qualunque aggressore al mondo (noi da soli, non lo siamo) è un problema.
Le tendenze di massa orientano la politica occidentale, perché ahimè abbiamo già, e avremo sempre di più, diversi politici follower che inseguono la massa, anziché leader che le sappiano spiegare quali rischi corriamo se non ci svegliamo, e cosa dobbiamo fare. I regimi sanno che le democrazie votano e che opinioni pubbliche divise generano leader indecisi. E allora chi può orientare la tendenza di massa, a sua volta dominante sulla politica, sarà player decisivo di questa partita. Saranno loro, cioè chi fa informazione, social network anzitutto, a decretare se cresceranno politici capaci di convincere la massa, e non esserne vinti. Sarà il drive decisivo: consapevolezza e capacità di spiegare che l’Occidente libero deve ora compattarsi e irrobustirsi, perché no intrecciando negli affari parte di quel mondo che ci è ostile, anche solo per dividere il suo fronte.

Devono avere da perdere per rinunciare al sogno egemonico che cullano.
Le nostre opinioni pubbliche sono indifferenti o divise. Mentre le iniziative di Hamas non hanno migliorato di un grammo la vita dei palestinesi, a Londra e Istanbul (entrambe quasi Europa) sfilano caroselli con bandiere palestinesi di festeggiamento degli attentati contro Israele. Non siamo in grado di spiegare in maniera comprensibile perché tutto ciò sia un rischio che ci riguarda.
Il blocco di mondo che ci detesta ha fame di noi e sa che sulla difesa di Ucraina e Israele siamo divisi; e che il consenso elettorale determina ascesa e caduta di carriere politiche. Da noi. Da loro no. È un vantaggio competitivo dei regimi non avere opinioni pubbliche. Cominciamo a pensare al da farsi e a spiegarlo, anziché perderci solo in sciocchezze da disputa di costume. O saranno cavoli di tutti. Sotto casa di tutti.