La domanda rimbalza nei Palazzi romani dai giorni immediatamente successivi a quel sabato 7 ottobre in cui i terroristi di Hamas hanno attaccato brutalmente Israele, tra massacri di civili e cittadini israeliani presi in ostaggio. «Perché Giorgia Meloni è così cauta di fronte al conflitto in Medio Oriente», si chiedono osservatori e parlamentari. Compagni di partito, alleati e avversari. La premier, infatti, dallo scoppio della più grave crisi tra Tel Aviv e Gaza da molti anni a questa parte sembra essersi defilata. Un passo di lato di Palazzo Chigi. Con la prima linea diplomatica e mediatica affidata al timido ministro degli Esteri Antonio Tajani. Mentre Meloni si teneva alla larga dal dibattito sulla guerra mediorientale, Tajani interveniva subito condannando la brutale aggressione terroristica di Hamas. Poi il titolare della Farnesina è volato a Il Cairo per incontrare il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi e l’omologo Shamel Shoukry. Dunque la visita a Tel Aviv e nel sud di Israele, dove Tajani ha parlato con il presidente israeliano Isaac Herzog e con il ministro degli Esteri Eli Cohen. La missione è proseguita in Giordania e oggi Tajani sarà a Tunisi. Un attivismo che è distonico rispetto al silenzio di Meloni. Negli stessi giorni la premier si muoveva tra Cogno e Mozambico e postava sui social sui temi più disparati: dal Pnrr a Caivano fino alla cerimonia di giuramento degli allievi dei Vigili del Fuoco. Le notizie dal Medio Oriente scomparse dall’agenda del capo del governo.

Come analizzato da You Trend, tra il 7 ottobre e il 17 ottobre Meloni ha twittato solo due volte a proposito della guerra tra Israele e Hamas. Nello stesso periodo, Elly Schlein non si era ancora espressa e Giuseppe Conte aveva collezionato solo tre tweet. Uno in meno del co-portavoce di Alleanza Verdi-Sinistra Angelo Bonelli. Più presenti Matteo Salvini e Matteo Renzi (11 tweet). Mentre Carlo Calenda ha twittato 27 volte e Tajani 28.

Meloni, nei suoi pochi interventi, si è limitata al cordoglio per ciò che è accaduto all’ospedale Ahli Arab di Gaza e ai richiami al dialogo con l’Autorità Nazionale Palestinese e per la soluzione dei “due popoli e due Stati”. Meglio insistere sulla politica interna. In particolare su manovra di bilancio e immigrazione. Ma qual è il motivo di tanta cautela sul conflitto in Medio Oriente tra Israele e Hamas? Qualche risposta arriva dall’interno di Fratelli d’Italia. “Nel partito non tutti hanno una posizione nettamente filo-israeliana”, spifferano da FdI. E pure la stessa presidente del Consiglio in passato non si era distinta per il sostegno allo Stato Ebraico. Nel 2015 Meloni firmò una mozione parlamentare che chiedeva il riconoscimento dello Stato di Palestina ed esprimeva condanna per i coloni israeliani in Cisgiordania.

Nel 2022 era contraria alla proposta di Matteo Salvini di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele come aveva fatto Donald Trump da presidente Usa. Posizioni più equidistanti, quelle di Meloni. Che ricalcavano la tradizione della corrente dei “gabbiani” di Fabio Rampelli, che prima dell’allontanamento tra i due era considerato il mentore politico di Meloni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ciò di cui la presidente del Consiglio ha più paura non sono le sirene non proprio atlantiste che arrivano da alcuni settori del suo partito. La vera preoccupazione di Palazzo Chigi verte sui sondaggi e sulla tenuta della base di FdI rispetto al posizionamento saldamente filo-occidentale tenuto fino a questo momento dal capo dell’esecutivo. E il conflitto israelo-palestinese è da sempre un tema molto divisivo, anche nella destra erede del Movimento Sociale Italiano e di Alleanza Nazionale. Così Meloni, a differenza di ciò che ha fatto con la guerra in Ucraina, ha scelto di non premere sull’acceleratore del supporto a Israele. E pazienza se all’interno del centrodestra qualcuno mugugna anche per la designazione del musulmano e non proprio filo-atlantico Pietrangelo Buttafuoco alla presidenza della Fondazione Biennale di Venezia, una nomina fortemente voluta da Meloni. Indecisioni sul Medio Oriente, quelle della premier, che arrivano in un momento in cui Meloni si sente più isolata in Europa. Il risultato negativo di Vox in Spagna e la recente sconfitta dei suoi alleati sovranisti in Polonia spingono verso il naufragio del progetto meloniano di un accordo tra il Ppe e la destra per governare la prossima Commissione Europea. All’orizzonte ci sono o uno sganciamento dal gruppo dei conservatori o un appoggio esterno al bis di Ursula Von der Leyen.