La prospettiva di una guerra in Europa terrorizza tutti, dai cittadini che hanno visto questa terribile parola ricomparire nella loro quotidianità agli analisti strategici che devono interpretare magnitudo ed evoluzioni del più sanguinoso e pericoloso conflitto continentale dal 1945 fino ai governi chiamati a gestirne gli impatti presenti e futuri. Tuttavia, la paura di qualcosa non ne condiziona affatto la probabilità di avverarsi. La storia dell’umanità è, purtroppo, piena di guerre scoppiate anche se nessuno le voleva. La stessa Seconda Guerra Mondiale ebbe la sua Conferenza di Monaco che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto scongiurarla. Al tramonto del 1939 le leadership politiche ed i popoli europei, compreso il Cancelliere Adolf Hitler ed i tedeschi intrisi di propaganda nazionalsocialista, pensavano che fosse possibile risolvere tutte le controversie senza ricorrere allo scontro armato.

Tutti vorrebbero che un negoziato concludesse la carneficina ucraina e riportasse la pace in Europa. Tuttavia, esistono negoziati e negoziati. Il discrimine è nel contenuto e negli obbiettivi. Negoziare per alzare bandiera bianca o per soccombere alle richieste di un feroce Paese aggressore è, forse, più pericoloso di una sconfitta netta sul campo di battaglia. Quel feroce Paese aggressore non vuole negoziare, perché legge negli occhi dell’Europa la paura e, quando lo farà, sarà soltanto per mettere nero su bianco la sua lista di irragionevoli richieste.

Oggi la guerra in Europa c’è già, da quasi dieci anni, vale a dire da quando gli omini verdi russi hanno conquistato e annesso la Crimea e alimentato le rivolte in Donbas. La minaccia russa all’Ucraina e all’Europa è visibile e concreta, sia in forme militari convenzionali che in forme ibride, legate a strumenti vecchi e nuovi di influenza, ricatto, propaganda e aggressione comunicativa e cognitiva. Oggi, la resistenza ucraina vive il suo momento peggiore, fiaccata non nell’animo o nel vigore morale, ma nella forza militare, schiacciata dai ritardi nell’approvazione di nuovi pacchetti di aiuti da parte di Europa e Stati Uniti, indebolita dalla carenza di munizioni, missili antiaerei e mezzi, spiazzata e spaventata dalle incertezze nel dibattito a Bruxelles.

Infatti, mentre in Ucraina si combatte, ad ovest della Vistola si disquisisce tra i progetti di una “Difesa Europea”, prospettiva nobile ma troppo lontana nel tempo rispetto all’urgenza che viviamo, e la necessità di prepararsi, e subito, a difendere Kiev se il fronte dovesse crollare. In questo senso, il Presidente Macron e il Presidente Putin, in maniera opposta ma complementare, hanno messo a nudo tutte le ambiguità europee, portando i governi verso l’inevitabile momento delle scelte decisive. Putin lo ha fatto per primo, chiarendo quali sono gli obbiettivi russi e dimostrando di essere pronto al tutto per tutto per raggiungerli, come dimostrato dalla mobilitazione economica e umana del Paese e dalle continue e strumentali minacce nucleari. Dall’altra parte, l’inquilino dell’Eliseo ha detto apertamente che, qualora l’Ucraina non fosse più in grado di difendersi e le truppe russe minacciassero Kiev e Odessa, i Paesi europei dovrebbero considerare concretamente la possibilità dell’invio di truppe a supporto degli uomini di Zelensky.

Non è stata una provocazione quella del Presidente francese, ma l’equivalente di un segnale di fumo Apache nell’infinità della Monument Valley, vale a dire la ricerca di risposte. Quelle risposte che cercava sono arrivate forti da Londra, Varsavia, Tallinn, Riga e Vilnius e, seppur balbettanti, anche da Berlino. Silenzio, invece, da tutto il resto della valle, al di qua e al di là dell’Atlantico. Tuttavia, si è trattato di un silenzio diverso: aperto alla possibilità di forme di supporto (tutte da individuare) da Washington, tremante e incerto dalle Vecchie Cancellerie del Vecchio Continente.

La Francia, prima di altri, ha capito che in ballo non c’è solo la sopravvivenza dell’Ucraina quale Stato indipendente, ma l’architettura politica e securitaria di tutto il continente nonché la credibilità dell’Europa in quanto soggetto autonomo dal patronage NATO e statunitense. Macron ha, finalmente, esorcizzato il tabù dell’invio di truppe in Ucraina, ponendo sul tavolo un fattore troppo a lungo trascurato, ovvero il limite di quello che si è disposti a fare per tutelare il proprio interesse nazionale e collettivo.

Anche se sono tantissimi i passaggi e tantissime le sfumature che separano la situazione attuale dall’eventuale necessità di inviare truppe in Ucraina, quest’ultima non può e non deve essere più trattata come un semplice scenario puramente teorico o come una prospettiva accademica. Anche se è spaventoso e fa paura, l’Europa si prepari alla guerra e non tema di farlo. Purtroppo, molti dei fattori dell’attuale contesto continentale, orbitanti attorno al conflitto ucraino, disegnano una spirale quasi inevitabile di violenza. Farsi trovare impreparati o non accettare la realtà di questo stato di cose potrebbe, paradossalmente, rendere questo rischio ancora più concreto.