Siamo tutti col fiato sospeso in attesa che Putin parli per dire sì o no all’accordo che americani e ucraini hanno raggiunto a Gedda. Ancora ieri sera Marco Rubio, Segretario di Stato americano, diceva: “Stiamo aspettando di parlare con Mosca”. Fino all’ora in cui scriviamo da Mosca non tira aria buona: il ministro degli Esteri russo Lavrov ha definito Ursula von der Leyen “una führer che vuole rimilitarizzare l’Europa” e il Presidente ucraino si aspetta “misure forti da parte degli Stati Uniti se la Russia non accettasse di sedere al tavolo, e sarebbero tutte a nostro vantaggio”. Ma Trump comunica di avere “persone che stanno andando in Russia in questo momento” e di aver ripetuto: “Ora tocca alla Russia” secondo una ricostruzione del Guardian. L’attesa, dunque, si prolunga se ieri sera “persone” inviate da Trump erano ancora in volo per Mosca.

Una partita di poker

Non è o non è ancora l’ora degli entusiasmi perché la pace non sembra poi così vicina. È una partita di poker: Trump ha visto il bluff di Zelensky e Zelensky ha fatto marcia indietro su tutto, sicché Trump ha ordinato che armi e informazioni riprendessero a fluire verso l’Ucraina. Adesso tocca a Putin dire se è soddisfatto o se vuole cambiare altre carte. La palla – come ripete Rubio – è nel campo russo e il mondo aspetta un sì o un no all’accordo di Gedda come base per un puro e semplice “cessate il fuoco” indispensabile per avviare i negoziati. Se Putin era felice quando Trump umiliava Zelensky cacciandolo dalla Casa Bianca, adesso è meno contento (e il nervosismo di Lavrov lo prova) di trovarsi di fronte a un aut-aut circoscritto alla sola guerra ucraina senza alcun cenno alla sua “nuova Yalta”, ovvero alla nuova divisione del mondo per sfere di influenza.

I punti irrinunciabili

Putin ripete da anni i suoi punti irrinunciabili: l’annessione delle terre ucraine conquistate, un’Ucraina disarmata fuori sia dalla Nato che dall’Unione Europea e poi un tavolo su cui discutere il ritiro della NATO dalle Repubbliche Baltiche, da Polonia e Repubblica Ceca, e anche dalla Romania dove l’intrusione russa a favore di Georgescu si è fatta pesantissima. L’accordo di Gedda contiene soltanto la fine delle ostilità fra Russia e Ucraina per arrivare entro un mese a una pace. I russi non sembrano davvero nello spirito del “cessate il fuoco” perché stanno combattendo furiosamente nell’oblast di Kursk conquistato dagli ucraini col blitz del 6 agosto scorso. Mentre a Gedda si discuteva di pace, i russi bombardavano a tappeto l’Ucraina e dopo due giorni gli ucraini hanno risposto con un contro-bombardamento fino a Mosca. Anche se tutti sperano che Putin dica smettiamo di combattere e parliamo, sembra poco probabile che ciò accada a meno che non ci sia un cambio strategico a Mosca.

Lo scenario

Trump aveva annunciato: quando saremo pronti ad offrire un cessate il fuoco, reagiremo secondo le risposte: se gli ucraini diranno di no, taglieremo la loro fornitura di armi e di intelligence. Ma se fosse la Russia ad opporsi, allora la risposta Di Washington sarebbe ostile: più armi e denaro all’Ucraina e più sanzioni alla Russia. Questo lo stato delle cose mentre si aspetta che Putin dica da che parte sta. Se Putin dicesse in qualsiasi forma di no, sarebbe un punto di vantaggio per Zelensky il quale – dopo lo spettacolare alterco nello Studio Ovale del 28 febbraio – ha marcia indietro sdraiandosi sulla linea di Trump dicendo sì al trattato sulle terre rare, sì al cessate il fuoco senza garanzie formali americane e offrendo di sospendere subito le ostilità in aria e sul mare.

L’adesione di Zelensky ai desideri di Trump ha reso felice il Segretario di Stato Marco Rubio che ha annunciato il raggiungimento delle condizioni per il cessate il fuoco e l’inizio delle trattative. Il mondo è adesso in attesa della risposta di Mosca. Si può esser solo certi che l’offerta nata a Gedda è di difficilissima digestione per il Cremlino: per Mosca, più del cessate il fuoco in Ucraina conta il riconoscimento del nuovo ordine mondiale, al cui interno si può contemplare – come elemento accessori – la fine della guerra in Ucraina. Putin ripete da anni di voler mano libera su tutti i territori che cadevano nell’orbita imperiale russa o sovietica. Sarebbe dunque un grande evento se considerasse utile un cessate il fuoco mentre il suo esercito seguita a guadagnare palmi di territorio ucraino sia pure a prezzi di perdite umane altissime.

Inoltre, Putin non è ancora riuscito ad espellere il corpo di spedizione ucraino nell’oblast russo di Kursk, fonte di vergogna di fronte all’opinione pubblica nazionalista. Ma se Putin accettasse di partire da dove americani e ucraini hanno trovato un accordo, saremmo di fronte a un grande cambio di rotta delle aspirazioni russe. Vorrebbe dire che Putin rinuncerebbe alla tanto desiderata “zona d’influenza” oggi occupata dai Paesi ex sovietici che hanno scelto di far parte della NATO. Al Cremlino sono dunque ore roventi e aspettiamo che Sergei Lavrov vada davanti ai microfoni e parli.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.