Stati Uniti d’Europa, sì o no?
All’Europa serve un referendum (anche con la Gran Bretagna): senza reale unità politica la difesa comune è inefficace
L’unica via è ridare voce agli Stati fondatori per costruire una UE a più velocità

Un referendum europeo. Questa è la via. L’idea di aumentare la spesa militare per costruire un esercito comune si scontra con una questione di fondo: esiste davvero un’Europa politicamente unitaria? La risposta, oggi, è negativa. Senza una reale unità politica, qualsiasi investimento in una difesa comune rischia di essere inefficace, se non controproducente. Il pericolo è ripetere errori già visti: si è creato l’euro nella speranza che da lì nascesse l’Europa. Ora si punta sulle spese militari senza aver prima definito il perimetro politico e strategico dell’Unione. Ma un’Europa che voglia contare sulla scena globale non può limitarsi a essere un’entità economico-militare: deve diventare una realtà geopolitica, capace di perseguire i propri interessi con una strategia chiara e coerente.
La priorità resta la costruzione di un’Europa politica, ancora un progetto sulla carta. Senza di essa, tanto vale accettare l’irrilevanza dei singoli Stati, destinati a restare subordinati alla superpotenza di turno. In questo scenario, anche nella sua versione più controversa – persino sotto una leadership come quella di Trump – gli Stati Uniti rimangono un riferimento preferibile rispetto a Russia o Cina. Meglio allinearsi a una democrazia fondata sullo Stato di diritto che a regimi autoritari. Eppure, c’è chi mette in discussione perfino questo principio, invocando una presunta lotta al capitalismo senza offrire vere alternative. Che fare? Forse l’unica via è ridare voce agli europei e agli Stati fondatori dell’unificazione, per costruire un’Europa a più velocità, a cerchi concentrici. Un referendum che, magari, coinvolga anche la Gran Bretagna. Il risultato sarebbe incerto, ma meglio scommettere su una prospettiva netta con un mandato inequivocabile: Stati Uniti d’Europa, sì o no?
Lo scenario bellico in Ucraina solleva interrogativi sulla strategia dell’Occidente. La narrazione secondo cui Putin sarebbe isolato e destinato alla sconfitta non tiene conto di una realtà geopolitica più complessa. Pensare che la Russia possa ritirarsi senza ottenere nulla in cambio è irrealistico. L’Occidente, con la sua retorica moralistica, non è esente da ipocrisie: per decenni Stati Uniti ed Europa hanno ignorato conflitti in tutto il mondo, intervenendo solo quando il loro interesse geopolitico era in gioco. L’accostamento tra Putin e Hitler, spesso usato in chiave propagandistica, non regge a un’analisi storica e politica. Se si volesse sostenere che la Russia abbia ambizioni espansionistiche, si potrebbero citare Georgia, Crimea e Donbass. Ma non esiste alcuna prova che Putin persegua un disegno di dominio continentale paragonabile a quello del Terzo Reich. Il vero problema è un altro: l’Europa oggi non ha un ruolo autonomo credibile senza gli Stati Uniti. E una guerra di logoramento rischia di lasciarci il conto da pagare, una volta esaurita la convenienza americana.
L’interesse europeo dovrebbe essere chiaro: costruire un’unione politica forte, capace di contare sul piano globale senza restare subalterna alle dinamiche di Washington o Mosca. Le guerre si combattono per interessi e visioni geopolitiche, non per difendere libertà e democrazia, come la retorica occidentale vorrebbe far credere. L’Ucraina non è un paese NATO, e il nostro coinvolgimento – diretto o indiretto – non dovrebbe essere guidato da pulsioni ideologiche, ma da un calcolo razionale delle conseguenze a lungo termine. Era giusto inviare armi nella prima fase del conflitto? Fornire armamenti non equivale a schierare truppe, come invece ipotizzato da Macron – una mossa che rischierebbe di trascinare l’Europa in un’escalation diretta con la Russia. Finora, il conflitto è stato, secondo alcuni, fortemente condizionato dagli Stati Uniti; l’invio di truppe lo trasformerebbe in una guerra aperta.
L’intervento occidentale a sostegno dell’Ucraina è stato deciso da Washington, e l’Europa vi ha aderito senza alternative concrete. Ora, però, gli Stati Uniti hanno cambiato rotta, aprendo alla possibilità di un accordo. Zelensky avrebbe dovuto cogliere questa occasione, chiedendo garanzie per un intervento immediato degli Stati Uniti in caso di violazione dell’intesa. Non è troppo tardi per chiudere il conflitto, né per svegliare un’Europa che rischia di restare schiacciata tra gli interessi di Trump da un lato e quelli di Putin dall’altro. Dobbiamo riarmarci? Sì, ma politicamente prima che militarmente. Riarmarci della nostra identità, riaffermare i nostri valori e costruire una strategia autonoma. Senza questo passaggio, qualsiasi investimento in difesa sarà solo l’ennesimo progetto senza futuro.
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