Per quale ragione Il Fatto quotidiano abbia deciso di pubblicare il famoso dossier Loggia Ungheria (che possedeva da 11 mesi e aveva deciso di tenere segreto) io non lo so. Data l’evidente contraddizione fra la decisione di non pubblicarlo per ragioni etiche e la decisione di pubblicarlo per etiche ragioni (e dopo aver letto l’improbabile articolo di spiegazioni del povero Barbacetto, vittima designata nei momenti difficili), avevo pensato che la scelta fosse stata imposta da Piercamillo Davigo, che del Fatto quotidiano è uno stabile collaboratore (e credo consigliere) e che di tanto in tanto viene ampiamente intervistato, anche dal direttore Travaglio, con domande abbastanza amichevoli che raramente vanno oltre il “cioè”. Può darsi però che mi sbagli, e che Davigo, che quel dossier lo possiede da molto tempo e lo ha anche usato, forse, ma non reso pubblico, non c’entra niente con la decisione del Fatto di rovesciare la sua etica e di pubblicare il dossier. In ogni caso non mi pare che sia questa la questione centrale.

La questione centrale è la seguente. Immagino che lo stesso Travaglio – che è un fondamentalista, senza dubbio, ma per molti versi è anche una persona onesta – si sia reso conto, leggendo il dossier, che dentro la magistratura è aperta una guerra civile senza esclusione di colpi e a geometria variabile. Non sempre si capisce bene quali siano le squadre, ma qualcosa ora si intravede. Leggendo gli articoli del Fatto si intuisce che esiste la squadra più forte, che si raggruppa attorno al pezzo più potente di Magistratura democratica. Poi c’è la squadra più debole, radunata in questa famigerata Loggia Ungheria (su posizioni moderate). Infine c’è un certo numero di battitori liberi (anche molto potenti) capaci di giocare su un lato o sull’altro a seconda delle occasioni. Fuori da questo schema esiste un gruppetto esiguo esiguo di magistrati indipendenti. Marco sicuramente si ricorda quella battuta – mica tanto scherzosa – su come negli anni 80 funzionava la lottizzazione in Rai: 3 democristiani, due socialisti, due laici, un comunista e poi uno che se ne intende. Beh, mi pare che in magistratura (specialmente tra i Pm) le cose stiano proprio così. Con una differenza: in Rai poi facevano lavorare quello che se ne intendeva, in magistratura capita raramente.

Il problema è che questo gioco, e questa lotta tra le due squadre, producono due conseguenze. La prima è che il potere di controllo che riescono a esercitare sullo Stato è vastissimo. Perché a questo potere è sottomessa quasi tutta la politica e grandissima parte del potere economico. È in quella sede – in quelle Logge più o meno segrete, sicuramente illegali – che si decidono gran parte dei destini del paese nei campi decisivi dell’economia e della politica. Non è così, Marco? Non è questo che emerge dai verbali che stai pubblicando? E non ti pare che tutto questo sia molto ma molto più grave dello scandalo P2?

La seconda conseguenza, terrificante, è che il peso che hanno queste Logge si ripercuote sulle inchieste e talvolta persino sulle sentenze. La macchina della giustizia risponde alle Logge, non alla verità, al diritto, all’indagine. Se uno va colpito lo si colpisce, poi il reato si trova. Non sta diventando questo il problema principale del paese?
Il Fatto, credo di aver capito, è nato per combattere i poteri forti. Giusto? E allora, Marco, senza bisogno di nessuna abiura, ora che lo sai, vieni con noi nella battaglia più difficile e pericolosa: quella di riportare la legalità in magistratura. Magari ci si fa male, ma è una battaglia molto utile.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.