Luca Palamara e Stefano Rocco Fava avrebbero commesso una “violazione del segreto d’ufficio” ad insaputa dei presunti beneficiari della violazione stessa. L’indagine di Perugia che ha terremotato la magistratura italiana, come Il Riformista sta raccontando in solitudine in questi mesi, non finisce mai di riservare sorprese. Nelle scorse settimane abbiamo descritto alcune “anomalie” nella conduzione delle investigazioni. Ad esempio, il funzionamento “a singhiozzo” del trojan inserito nel cellulare di Palamara, vedasi la mancata registrazione della cena con Giuseppe Pignatone la sera del 9 maggio 2019, oppure la tardiva iscrizione nel registro degli indagati del presunto corruttore, l’imprenditore Fabrizio Centofanti, arrivata quattro mesi dopo quella del presunto “corrotto” zar delle nomine, ed infine la trascrizione “a scoppio ritardato” delle conversazioni con i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri da parte dei finanzieri del Gico della guardia di finanza.

Oggi ecco arrivare anche la rivelazione del segreto d’ufficio senza consapevolezza da parte dell’utilizzatore delle informazioni riservate. Nell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, prevista per il prossimo 13 maggio, l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e il suo ex collega in Procura a Roma e ora giudice a Latina risultano accusati di rivelazione del segreto d’ufficio nei confronti di Marco Lillo e Giacomo Amadori, rispettivamente firme di punta del Fatto Quotidiano e de La Verità. Seconda la Procura diretta da Raffaele Cantone, Palamara e Fava avrebbero rivelato ai due giornalisti notizie riguardanti procedimenti penali che interessavano l’avvocato Piero Amara, l’ideatore del sistema Siracusa, il sodalizio per pilotare processi e aggiustare sentenze, recentemente tornato agli onori delle cronache per delle rivelazione tarocche sul presidente del collegio milanese del processo Eni-Nigeria.

In particolare Fava, che era assegnatario di fascicoli su Amara prima di essere esautorato, sarebbe stato “istigato” da Palamara a scrivere un esposto con l’obiettivo di screditare il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo (i due nel procedimento di Perugia sono parti offese, ndr). Gli articoli incriminati sono del 29 maggio 2019. Per il Fatto: “Esposto bomba al Csm: Incarichi ai fratelli di Pignatone e Ielo”. Per la Verità: ”Sotto inchiesta al Csm l’ex capo dei pm di Roma e il suo aggiunto: Esposto al Csm su Pignatone e Ielo, affari fra indagati e i loro fratelli”. Amadori e Lillo vennero interrogati a Perugia nei mesi scorsi e fornirono una ricostruzione molto diversa dell’accaduto, “smontando” il teorema della Procura umbra. Pur potendo avvalersi del segreto professionale, i due giornalisti decisero di rispondere a tutte le domande. Amadori disse di “non conoscere” Fava, ricordando che il suo esposto era una sorta di segreto di Pulcinella in quanto conosciuto da tante persone (l’esposto di Fava era stato depositato al Csm il 27 marzo 2019, ndr). Per quanto riguardava Palamara, affermò di averlo conosciuto il giorno in cui era uscito l’articolo sulla fuga di notizie dell’indagine di Perugia.

Lillo, invece, disse di aver avuto notizia dell’esposto non da Fava ma da fonti “imprenditoriali” e di non aver mai avuto rapporti con Palamara per scrivere né quello né altri articoli. Amadori e Lillo, per la cronaca, chiamarono Pignatone e Ielo per un riscontro, avvertendoli che avrebbero pubblicato l’articolo. Testimonianze importanti, anche perché a rischio di incriminazione per gravi reati come il favoreggiamento, ma non ritenute soddisfacenti dai pm.
A far compagnia a Palamara e Fava, Riccardo Fuzio. Anche l’ex procuratore generale della Cassazione è accusato di rivelazione del segreto, sempre a proposito dell’esposto di Fava.

Per gli inquirenti avrebbe detto a Palamara che l’esposto di Fava era giunto al Csm. Bel segreto, dato che secondo la ricostruzione Palamara sarebbe stato l’istigatore di Fava. Se, dunque, si indaga su una non fuga di notizie, non si indaga sulla fuga di notizie per eccellenza, quella di Repubblica, Corriere e Messaggero che, sempre il 29 maggio 2019, aprirono sull’indagine di Perugia a carico di Palamara facendo saltare la nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma. Mistero.