Alessio Lanzi è finito nel mirino, “under fire” come direbbero i marines. I giornali che a maggio del 2019 fecero saltare con una provvidenziale fuga di notizie relativa all’indagine di Perugia la nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma, hanno puntato questa settimana il professore milanese di diritto penale e attuale consigliere del Consiglio superiore della magistratura in quota Forza Italia. L’obiettivo finale sembrerebbe essere quello di costringerlo alle dimissioni. Un déjà-vu di quanto è successo all’inizio dell’estate di due anni fa quando una micidiale campagna stampa riuscì a imporre le dimissioni di tutti i togati che avevano partecipato, insieme a Luca Palamara, all’incontro all’hotel Champagne con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti dove si discusse del successore di Giuseppe Pignatone alla Procura di Roma.

Ma cosa ha fatto di talmente grave Lanzi da meritare ieri due articoli – fotocopia – su Corriere e Repubblica? Si è recato lo scorso mercoledì nello studio romano del collega Roberto Rampioni per una visita di cortesia. “Un clamoroso passo falso”, esordisce Repubblica, “sospetti su una fuga di notizie”, rincara la dose il Corriere, il giornale che fu l’autore, come detto, della fuga di notizie sul Palamaragate. Rampioni, oltre a essere ordinario di diritto penale a Tor Vergata, è il difensore di Luca Palamara nel procedimento a Perugia. La circostanza dell’incontro fra accademici finisce in tempo reale al Csm e viene “discussa”, secondo quanto riportato dai due giornali, al Comitato di presidenza, composto dal vice presidente David Ermini e dai due capi di Corte: il primo presidente della Cassazione Pietro Curzio e il procuratore generale Giovanni Salvi, entrambi di Magistratura democratica. Ci sarebbero allora stati, sempre secondo il racconto dei due giornali, “malumori” dal momento che il giorno dopo, giovedì, Palamara doveva essere ascoltato a proposito delle chat dalla Prima commissione, di cui fa parte Lanzi, accompagnato da Rampioni. Subito è scattata la caccia alla talpa che aveva rivelato la notizia di un incontro privato.

Nello stesso palazzo del quartiere Prati, dove ha lo studio Rampioni, abita il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, uno dei tre componenti del comitato di presidenza del Csm. E gli incontri sul pianerottolo o in ascensore fra i due, come dichiarato dallo stesso Rampioni, sono “frequenti”. Nella giornata di ieri il professore romano ha diramato un duro comunicato: «Corriere della Sera e Repubblica parlano della vicenda Palamara. Ma come lo fanno? Deviando il lettore su una notizia che notizia non è, attribuendole valore di scoop!”. “Oscurano, tuttavia, i temi oggetto dell’audizione di Palamara, chi sa come e da chi loro rivelato, con il gossip», aggiunge Rampioni. «Piuttosto che tentare di “imbrattare” professionisti – si passi l’immodestia – veri, sarebbe bello pensare che giornali autorevoli si dedicassero ad approfondire, sicuramente destando maggior interesse nel lettore, l’esame dell’operato, della pratica di quei tanti “giocolieri, mezzani, trafficanti” di cui il Sistema pullula», conclude, quindi, il professor Rampioni.

Salvi, secondo la ricostruzione contenuta nel libro Il Sistema, per caldeggiare la propria nomina a procuratore generale della Cassazione, nel 2016 avrebbe alla presenza dell’allora vice presidente del Csm Giovanni Legnini invitato Palamara, zar delle nomine a Palazzo dei Marescialli, “su una splendida terrazza di un lussuoso albergo nei pressi di Corso Vittorio Emanuele”. La nomina non andò in porto in quanto Palamara decise di puntare su “baffetto”, alias Riccardo Fuzio. Tornando invece a Lanzi, la domanda è perché sia finito nel mirino. Diverse le ipotesi. Lanzi è fra i consiglieri che in questi mesi sta cercando con fatica di definire la posizione di Antonello Racanelli, procuratore aggiunto a Roma, finito nel procedimento Palamara a proposito dell’esposto presentato dall’ex pm Stefano Rocco Fava contro Pignatone e Ielo.

A differenza di Lanzi sono in molti quelli che vorrebbero cacciarlo quanto prima da piazzale Clodio. Racanelli, ex segretario nazionale di Magistratura indipendente, la destra giudiziaria, è molto legato a Cosimo Ferri. In passato era stato osteggiato proprio da Pignatone che come aggiunti voleva, sempre secondo il racconto di Palamara, Paolo Ielo e Rodolfo Sabelli.