Farsi riconoscere donna dallo Stato è una fatica e non è giusto perché io sono una donna e non devo soffrire”. Alessia Cantore, 48 anni, di Torre del Greco, ha iniziato la sua transizione quando aveva 20 anni. Si chiamava Santo ma sin da giovanissima si sentiva donna e così ha deciso di intraprendere il difficile percorso della transizione. “Ma non ero felice – racconta Alessia – perché sui miei documenti di riconoscimento c’era scritto ‘Santo Cantore’, così ho deciso di fare la rettifica del nome. Ma se avessi saputo che era così difficile forse avrei rinunciato”.

Donna da più di 20 anni, Alessia ci ha messo 5 anni per avere tra le mani il documento con il nome femminile. “Una mia amica in Germania ci ha messo 5 mesi per avere il documento corretto. Io in Italia per avere il mio nome sulla carta di identità ci ho messo 5 anni. Vi pare normale?”. Una storia incredibile ma comune a tante donne che hanno deciso di intraprendere la stesso percorso. Per queste donne cambiare il nome sui documenti non è solo un’esigenza psicologica ma anche una concreta necessità: “Avendo documenti maschili ho avuto molta difficoltà a trovare lavoro – racconta Alessia – Sono tutta donna fisicamente ma appena leggevano i documenti, vedevano che ero un uomo e non mi assumevano o mi licenziavano anche se ero brava”.

E il cambio del nome sui documenti è un diritto garantito dallo Stato. “Penso che ognuno è libero di fare ciò che vuole, amare chi vuole, essere ciò che si vuole – ha continuato il racconto – E non è possibile che una ragazza come me deve soffrire tutti i giorni con le discriminazioni, con il lavoro, con i documenti, con il green pass. Dobbiamo morire noi? Non siamo esseri umani?”. Alessia racconta le procedure che ha dovuto affrontare per riuscire nell’impresa di vedere il suo nome scritto sui documenti.

Prima gli incontri con gli psicologi poi il passaggio in tribunale. E ancora dallo psicologo e poi in tribunale. “È davvero un giudice a dover decidere se io sono donna?”. Una trafila burocratica insormontabile e dolorosa, inaccettabile per chi già si sente discriminato tutti i giorni. “Quando è arrivata la sentenza del Tribunale che mi riconosceva come Alessia ero felice, pensavo che era finita lì. Invece no. Ho dovuto aspettare un altro anno di burocrazia inseguendo i funzionari del comune. Ogni venerdì per un anno sono andata a chiedere se erano arrivati i miei documenti e loro mi rimandavano di continuo. Mettetevi nei mie panni, non è bello tutto questo”.

“Ancora peggio – continua il racconto – mi ridevano in faccia di continuo. Fino all’ultimo mi hanno fatto soffrire. Quando poi sono arrivati i miei documenti il funzionario mi ha detto ‘Auguri, ora sei Alessia grazie a me’. Grazie a lui? Ma è un mio diritto”. La procedura è complessa e a questo si aggiunge che non sempre i funzionari dei comuni sono adeguatamente formati all’utilizzo dei sistemi informatici e la cultura e la conoscenza di tematiche come il mondo lgbtq è molto scarsa. E questo rende tutto ancora più complicato, praticamente e umanamente.

“Una volta avuta quella telefonata pensavo che era finita là – continua Alessia- Ero tutta felice ma quando ho guardato i documenti mi sono accorta che c’era ancora il sesso maschile. Sono una donna trans però il mio sesso è femminile, anche se non sono operata. Per legge se lo voglio fare lo faccio. E quell’errore è un insulto. E ho ricominciato ad andare al comune a litigare con tutti. La delusione era tanta perché avevo aspettato già 5 anni per averli. Come si fa a essere così ignoranti e insensibili? Ho dovuto aspettare ancora ma poi ce l’ho fatta. È stata una grande soddisfazione”.

Ancora una volta Alessia ha pensato che la sua trafila fosse finita lì. Invece no, ha riscontrato un’altra difficoltà sulla sua strada: il green pass. Vaccinata con tre dosi, Alessia, all’epoca delle inoculazioni aveva i documenti con su scritto ‘Santo Cantore’ e di conseguenza anche il suo green pass porta quel nome. Ora che sulla sua carta di identità c’è scritto ‘Alessia Cantore’, ai controlli la fermano e le dicono che l’identità non corrisponde.

“Per prendere il treno per andare a operarmi al seno – perché finalmente Alessia può farlo – ho dovuto portare con me una copia dei vecchi documenti. Mi avvio con grande anticipo perché devo spiegare questa situazione a chi controlla il green pass che non è semplice. Ma se per legge sono Alessia Cantore, automaticamente non dovrebbe cambiare anche il green pass?”. Alessia è molto grata all’Associazione Trans Napoli di Loredana Rossi e Ileana Capurro, oltre che presidente anche l’avvocato che l’ha aiutata nella difficile impresa del cambio del nome. “Senza di loro non avrei saputo come fare”, dice.

Alessia fin ora non si è mai operata, forse potrebbe decidere di farlo prossimamente ma ha paura di dover iniziare d’accapo tutta la trafila burocratica. “Essere una donna trans non è facile – dice Alessia – Combattere questa società con i pregiudizi e le discriminazioni, non è semplice. Io cerco di realizzarmi ogni giorno. Ho un lavoro da badante, faccio viaggi per andare a operarmi, ora mi faccio il seno, poi mi opererò alle corde vocali perché la mia voce non mi piace. Io lo so che dobbiamo morire tutti ma voglio morire completa. Io mi accetto così come sono, e cammino a testa alta. Non sono io che devo avere vergogna, è lo Stato che si deve vergognare perché ha qualcosa contro di noi. Io mi apro alla società, è la società che si chiude verso di me. Ma io l’ho capito: bisogna vivere e combattere, e così sto facendo. Però sarebbe l’ora di dire basta a queste discriminazioni e a questa burocrazia così lunga. Deve cambiare qualcosa”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.