Angoscia, dolore e speranza. Sono questi i tre elementi che hanno riempito la giornata di ieri sul fronte degli ostaggi nelle mani di Hamas e del Jihad islamico palestinese. La notizia della morte di Noa Marciano, soldatessa diciannovenne sequestrata il 7 ottobre, ha fatto sprofondare nel dolore lo Stato ebraico, così come la conferma della morte di alcune persone che si credevano rapite e che invece erano state trucidate nell’assalto che ha fatto iniziare il conflitto.

Tra di esse, l’attivista canadese-israeliana, Vivian Silver, di 74 anni, che si riteneva fosse nelle mani di Hamas e il cui corpo è stato invece definitivamente riconosciuto dopo alcune settimane dal ritrovamento dei suoi resti nel kibbutz di Beeri. Identificato nello stesso kibbutz anche il nome di un’altra vittima della furia omicida di Hamas, quello di Liel Hezroni, una ragazza di 12 anni che era ancora data per dispersa, e che invece è stata assassinata il 7 ottobre insieme a suo fratello Yanai e al loro nonno.

Conferme tragiche cui si è aggiunta tuttavia una speranza, quella data dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che rivolgendosi indirettamente ai familiari degli ostaggi ha detto: “Resistete, stiamo arrivando”. Il capo della Casa Bianca – sotto pressione in patria sia da parte dell’opinione pubblica che da parte della politica Usa, molto divisa al suo interno sulla questione Gaza – lavora incessantemente per quello che si è posto come un obiettivo prioritario: la liberazione delle persone nelle mani di Hamas. Il principale consigliere per il Medio Oriente, Brett McGurk, è partito per la regione atteso da colloqui di altissimo livello in diversi Paesi, oltre che in Israele.

Ieri Biden ha telefonato anche all’emiro del Qatar proprio per discutere sui negoziati in corso. E la scelta conferma l’importanza di Doha come ponte tra Hamas, Israele e gli Stati Uniti. Un ruolo che però deve anche portare a risultati concreti. Tanto che ieri, il portavoce del ministero degli Esteri qatariota ha mandato un messaggio chiaro ai belligeranti: “Pensiamo che non ci siano altre opportunità per le due parti oltre a questa mediazione”.

I negoziati procedono, come dimostrato dalle parole di Biden e dal fatto che Israele abbia mandato in Egitto il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar. E questo serve anche a smentire i (non pochi) segnali discordanti. Ieri Abu Obeida, portavoce delle Brigate al Qassam, ha accusato Israele di avere bloccato un accordo per il rilascio di circa 70 persone, in particolare donne e bambini, in cambio di centinaia di giovani e donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane.

Nel pomeriggio di ieri, sono poi arrivate le dichiarazioni del ministro degli Esteri Eli Cohen, che dopo un incontro con Mirjana Spoljaric, presidente della Croce Rossa, non solo ha confermato che l’organizzazione non ha avuto accesso ad alcun ostaggio, ma ha anche ammesso che il governo non ha prove che le persone rapite siano ancora in vita. Una frase che dimostra come da parte dello Stato ebraico la cautela sia enorme, ma anche la necessità da parte dell’intelligence e del governo di ottenere qualcosa in più da parte di Hamas. Poche ore dopo, è arrivato anche l’annuncio del Jihad islamico, che ha rivelato di pensare al ritiro dal negoziato sugli ostaggi “in attesa di condizioni migliori”. In serata è intervenuto poi il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che riferendosi al vortice di notizie sui colloqui riguardo le persone sequestrate, ha detto che il governo parlerà solo quando avrà qualcosa da riferire.

Nel frattempo, continua l’avanzata delle forze israeliane nel cuore di Gaza dopo che, come ha sottolineato il ministro della Difesa Yoav Gallant, hanno ottenuto il controllo della parte nord della Striscia. Ieri, la 162esima divisione dell’esercito ha completato la conquista del campo profughi di Shatti, importante roccaforte di Hamas nella città. Le Israel defense forces sono inoltre riuscite a entrare nel quartier generale dell’organizzazione nei pressi dell’ospedale al Rantisi, mentre continuano le operazioni di distruzione dei tunnel e di individuazione dei punti di accesso di quel mondo sotterraneo che rappresenta la vera grande arma strategica nelle mani della sigla islamista. Le truppe dello Stato ebraico hanno inoltre fatto irruzione non solo nel cosiddetto parlamento di Gaza, ma anche nella casa del governatore e nell’edificio dell’intelligence e delle forze di sicurezza. Un’avanzata graduale che però non sembra avere del tutto annichilito le capacità offensive di Hamas, dal momento che solo ieri diversi razzi sono partiti dalla Striscia contro Israele.

E a Tel Aviv, tre persone sono rimaste ferite, di cui una, di 20 anni, in modo grave. La guerra intanto continua a mietere le sue vittime. Le Idf hanno riferito della morte di altri due soldati, portando il computo dei caduti a 46 militari dall’inizio dell’offensiva, che si sommano alle circa 1200 vittime dell’assalto del 7 ottobre. Il ministero della Salute palestinese, controllato da Hamas, ha invece riferito che sono già oltre gli 11mila i morti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania da quando è iniziata la guerra. Morti cui si deve aggiungere il grande nodo dell’ospedale di Shifa: dove si combatte una battaglia decisiva ma profondamente complessa. Ieri la struttura sanitaria ha realizzato una fossa comune per seppellire i cadaveri.

E mentre le Idf hanno comunicato la consegna di incubatrici per l’ospedale, aumentano gli indizi sulla presenza dei comandanti di Hamas proprio al di sotto del centro. Non mancano segnali preoccupanti anche dagli altri “fronti”: più freddi ma non meno delicati. In Cisgiordania, non si placano le tensioni tra forze armate israeliane e palestinesi, con pesanti scontri avvenuti in particolare nell’area di Tulkarem. A nord, l’esercito dello Stato ebraico ha colpito postazioni di Hezbollah nel Libano del sud. Mentre nel Mar Rosso è stato intercettato un altro missile diretto verso Eilat e probabilmente lanciato dagli Houthi dello Yemen.