Un giovane lavoratore viene assunto da una grande società. È felice, magari si deve ancora laureare e si sente così gratificato dalla fiducia che gli è stata data che è pronto a lavorare di più, molto di più di quanto è pattuito nel contratto. Sì, perché ormai siamo alla follia per cui chi più lavora, più è “cool”, più produce. Una delle grandi illusioni del nostro tempo: lavorare fino allo stremo non porta necessariamente a produrre di più e meglio. Anzi, porta al burnout, all’estraniazione e quindi alle imprecisioni e distrazioni.

Piano piano il neo assunto se ne rende conto: “Forse non dovrei lavorare fino alle 20, alle 22. Forse, se nel contratto c’è scritto che l’orario deve essere di 8 ore, ci sarà un motivo. E se non mi riconoscono neanche gli straordinari, non sono così ‘cool’ questi miei dirigenti”. Così decide di licenziarsi, magari perché ha trovato di meglio. O semplicemente perché non ce la fa più a stare appiccicato a quel cellulare tutto il giorno, a quelle e-mail della domenica, a quella chiamata della sera inoltrata.

Forse non deve per forza andare così. Forse si può lavorare il giusto, con impegno e zelo, e comunque portare il valore aggiunto necessario. Forse si può lavorare con intelligenza. Ma il dramma che ha vissuto in quell’azienda che tanto lo ha sfruttato, che lo ha fatto sentire inadeguato, che lo ha mortificato, magari che gli ha provocato un’ulcera o un herpes, non lo può raccontare. Non può gridare al mondo che ci deve essere un sistema migliore.

Perché? Perché gli è stato fatto sottoscrivere un contratto – ormai comunissimo in molte delle grandi società in ambito economico e finanziario – che gli impedisce di poter esternare affermazioni che possano ledere l’immagine dell’azienda e delle persone al suo interno. Per questo ora serve una legge che tuteli il diritto alla disconnessione. È il momento di responsabilizzare datori di lavoro e lavoratori stessi per una cultura responsabile e intelligente. Un buon proposito per il 2025. Ti assumo, ti sfrutto, te ne vai e ti imbavaglio: una logica che non può esistere.

Giovanni Crisanti

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