Non solo gli studenti universitari, ma anche i liceali manifestano per la libertà, la democrazia e la giustizia in Turchia. Protestano per i loro insegnanti che sono stati rimossi dai loro incarichi e trasferiti in altre città del paese per aver sostenuto le proteste contro l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu. Ieri gli studenti non hanno frequentato le lezioni e hanno organizzato dei sit-in di protesta nei cortili dei loro istituti.

È stato revocato il diploma di laurea al sindaco İmamoğlu per non consentirgli di correre per le presidenziali; egli è stato arrestato con accuse di corruzione a lui rivolte da testimoni segreti e senza alcuna prova per impedirgli di continuare ad amministrare la megalopoli turca, cuore economico e culturale del paese che rappresenta circa un terzo del suo PIL. Nonostante ciò İmamoğlu, eletto dal popolo e ora gettato in prigione e privato della libertà, non sembra ancora escluso dall’equazione politica e dalla corsa alle presidenziali. Gli studenti universitari e delle scuole superiori ora si sono ribellati e stanno rafforzando la sua immagine di “uomo e leader politico” vittima della violenza del potere.

Il risveglio

Inizialmente le manifestazioni erano guidate dagli studenti universitari e dal maggior partito d’opposizione, il repubblicano CHP, ma ora si sono espanse fino a includere quelli delle scuole superiori che esprimono la loro opposizione al crescente autoritarismo di Erdoğan. “Vogliono portarci via anche gli insegnanti”, gridano. Ora, mentre gli alunni boicottano le lezioni, gli ex studenti e i genitori iniziano a picchettare i cancelli delle scuole. La Turchia sta vivendo un grande fermento della Generazione Z. Per i giovani turchi, le proteste antiErdoğan hanno rappresentato un “risveglio” dopo anni di stasi politica e di declino economico. I giovani turchi, vero motore del nuovo movimento di protesta, inondano i social media di contenuti di protesta, boicottano le aziende che considerano legate al governo e disertano i corsi e gli esami. Appartengono a una generazione che ha conosciuto il proprio paese solo sotto il presidente Recep Tayyip Erdoğan, che è accusato di avere, in più di due decenni di potere, censurato o chiuso i media indipendenti, di aver zittito la società civile, i suoi massimi esponenti, e gli oppositori politici. La maggior parte dei giovani non si fa illusioni su un rapido cambiamento dello status quo, ma dopo anni di stasi politica, dicono di volere immaginare un futuro diverso e si battono per questo. “Per la prima volta, non ci sentiamo più senza speranza”, dicono.

Lo scenario

Queste grandi proteste guidate dai giovani hanno sorpreso perfino i più attenti osservatori della politica turca. Gli attivisti della società civile si erano chiusi su sé stessi dopo la brutale repressione delle proteste di Gezi Park del 2013, iniziate in opposizione a un progetto di sviluppo urbano, ma subito trasformatesi in proteste antigovernative contro l’autoritarismo di Erdoğan. Dopo essere sopravvissuto a un tentativo di colpo di stato nel 2016, il presidente turco ha stretto la sua morsa, ha messo a tacere i giornalisti critici, arrestato i parlamentari dell’opposizione, ha fatto epurazioni tra gli accademici e nella pubblica amministrazione, perseguendo oltre un milione di persone. Ora Erdoğan ha un grosso “problema demografico”: l’elettorato sta cambiando, una vasta fetta di esso è vissuta durante la crisi economica e non ha alcun ricordo del boom dei primi anni del governo dell’Akp.

Le proteste

Le proteste sono partite dai più prestigiosi campus universitari del paese, dall’Università Bilgi a quella di Marmara, dalla Boğaziçi alla METU, la storica Università tecnica del Medio Oriente. Le organizzazioni studentesche delle varie Facoltà di tutta la Turchia hanno iniziato a comunicare tramite gruppi WhatsApp per darsi appuntamento a Saraçhane, si è creato un movimento spontaneo molto variegato, ma con una caratteristica comune, prioritaria: l’opposizione al potere dell’uomo solo al comando.