I significati, anche, saranno molteplici, per cattolici, laici e anche non credenti che scelgono di soffermare la loro attenzione su questa tradizione. Vorrei, quindi, ragionare (uso di proposito questo verbo) su altre tipologie di “porta” da aprire o attraversare, fino alla porta della mente (Metànoia). Se si vuole restare, benintesi, ancorati al preciso significato del termine “Giubileo”.

L’anno di riposo

Come è noto, ormai a tutti, “Giubileo” ha origine nella lingua ebraica (dalla radice «ybl»/«portare indietro») e nelle sue Scritture (Levitico, 25,1 e ss.), dove è fissato per ogni 50 anni un anno di riposo della terra, la restituzione delle terre confiscate e la liberazione delle persone ridotte in schiavitù, anche considerando che spesso la riduzione in schiavitù era conseguente alla impossibilità di ripagare un debito. Per segnalare l’inizio del Giubileo si suonava una tromba/corno di ariete, in ebraico «yobel». Quando un papa si imbatte nella scadenza giubilare, solitamente, compie un atto che esprime sia il tempo in cui sta conducendo il suo pontificato, sia quello che, secondo la sua valutazione, costituisce il cuore della sua missione papale. Esemplifichiamo tra i più recenti.

Paolo VI, il Rinnovamento e la Riconciliazione

Paolo VI (nato Giovanni Battista Montini), nel 1975, scelse il tema del “Rinnovamento e la Riconciliazione”: aveva portato avanti e concluso un difficile Concilio e, confrontandosi con serie divisioni nella Chiesa, si sentì colpito da uno scisma (i Lefebvriani) e dall’insorgenza di molteplici forme di fughe in avanti del cosiddetto dissenso cattolico – dalle occupazioni di cattedrali alle numerose forme e diversificati gruppi “di base”. Rattristato, denunciò: “da qualche misteriosa, no, non è misteriosa, da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, c’è l’incertezza, c’è la problematica, c’è l’inquietudine, c’è l’insoddisfazione, c’è il confronto”. Nel suo Giubileo, il corno di ariete suona per confermare il Rinnovamento e suscitare la Riconciliazione, nella Chiesa di fronte al mondo.

Papa Wojtyła, la forza della Chiesa 

Giovanni Paolo II (nato Karol Józef Wojtyła), nel 2000, scrive: “Il passo dei credenti verso il terzo millennio non risente affatto della stanchezza che il peso di duemila anni di storia potrebbe portare con sé; i cristiani si sentono piuttosto rinfrancati a motivo della consapevolezza di recare al mondo la luce vera, Cristo Signore… questo Grande Giubileo, quanto al contenuto sarà uguale a ogni altro. Ma sarà, al tempo stesso, diverso e di ogni altro più grande”. L’uomo delle certezze e della vittoria sul comunismo – seppure malato e carico di anni – apre la porta e fa suonare il corno di ariete per riaffermare la forza della sua Chiesa, di fronte al mondo.

Papa Francesco, resistere alla tentazione

Francesco (nato Jorge Mario Bergoglio), nel 2025, si muove cercando una sorta di equilibrio tra la certezza che: «La Speranza non delude» (Rm 5,5) – espressione con la quale Paolo di Tarso infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma, nella sua Lettera ai Romani – e il riconoscimento che: “Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio.” Sembrerebbe, da questo incipit della “Bolla di indizione”, che Bergoglio abbia voluto resistere alla tentazione del sensazionale e incamminarsi su un percorso più idoneo ai tempi che il cristianesimo sta vivendo. In ogni caso, il papa Francesco è chiamato a compiere ‘aperture di porte’ importanti e complesse.

Altre tipologie di porta

Torno, perciò, da dove sono partito: ragionare su altre tipologie di “porta”, da aprire ed attraversare. Non quelle del trionfo: entrate, qui è la sicurezza e la verità; bensì: uscite per incontrare tutti coloro che sono co-protagonisti dei destini dello stesso mondo. Come sopra ricordavo, “giubileo” non è affatto sinonimo di “giubilare”. È senza fondamento assimilare il termine “giubileo” al latino “jubilum/allegria”; come all’inizio si pensò, per via di un errore fatto dai copisti che, sbagliando, tradussero la necessaria traslitterazione della parola ebraica “yobel”, usata da san Girolamo, il primo traduttore della Bibbia ebraica nella lingua latina (cfr Enciclopedia della Bibbia, 1970). Quante e quali “porte” aprire? Le porte – atti simbolici, parole chiave, dichiarazioni, conversioni- della consapevolezza e dell’umiltà. La prima ci mette davanti alla responsabilità del giudizio sul «tempo di ora». Questo, ad esempio, è un periodo storico caratterizzato da intense e sfacciate manifestazioni di antisemitismo e antigiudaismo, in molte parti dell’occidente. Considero urgente rivolgere a questa tipologia di schiavitù il suono dello «Yobel», assumendo anche le responsabilità specifiche, imposte dalla radice della parola «ybl-portare indietro». Indietro dove? Per la Chiesa cattolica, tornare con umiltà a riapprendere la lezione del Concilio Vaticano II, nella «Nostra Aetate», impartita in questi termini: “La Chiesa di Cristo riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino nella salvezza, nei Patriarchi, Mosè e i Profeti. […]. La Chiesa, inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque”.

Aprire questa porta – anche con le necessarie consapevolezze circa parole e silenzi nel trascorso 2023-24 – significa misurarsi con un tempo storico del cristianesimo e del cattolicesimo niente affatto passeggero e molto doloroso (ho sotto mano: “La chiesa e lo sterminio degli ebrei” dell’ottimo Renato Moro; questi sono i titoli di alcuni paragrafi significativi: antisemitismo tradizionale e antisemitismo moderno; l’odio antico; cattolici e antisemitismo del nuovo secolo). Ma c’è un di più da assumere; un di più che formulo con le recenti parole di Ernesto Galli della Loggia: “L’occidente cristiano – se è permesso adoperare ancora questa espressione, almeno storicamente indiscutibile – sembra tuttora impegnato a fare i conti con quel decisivo retaggio che sta alle sue spalle, che è per l’appunto l’ebraismo”. Occidente ed ebraismo, insieme fanno il “retaggio”. L’anno giubilare che si è messo in cammino è sufficientemente lungo e ci sarà, quindi, il modo e il tempo per non disperdere il suono di «Yobel». Esso rinvia al cruciale capitolo 11 della Lettera ai Romani: “Il resto di Israele”. Papa Francesco avrà certamente il modo di ricordare alla Chiesa che è in Roma, di cui è vescovo, questa parola di Paolo: «Non menar tanto vanto contro i rami. Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti le radici, ma è la radice che porta te» (v. 18) e ancora: «Se Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te» (v.21).

Mario Campli

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