Con la fine delle ideologie (anche se qualche nostalgico preferisce pensare che non siano ancora morte, ma soltanto ferite), ci siamo ritrovati in un mondo complesso, veloce e imprevedibile. Sulla scena, ha fatto irruzione il paradosso”, una evidente contraddizione tra due o più elementi ugualmente veri e importanti. Un esempio tra i tanti. Le aziende si trovano davanti al paradosso di essere soggetti economici che devono perseguire il risultato economico e dall’altra c’è il mantra del mondo delle Risorse Umane: “mettere le persone al centro” e impegnarsi per il benessere dei propri lavoratori. Due forze che spingono in direzioni quasi opposte.

Scegliere una posizione

C’è chi sceglie di stare su uno dei due estremi (riscoprendo vecchie e nuove ideologie) e chi invece, in modo più attuale, accetta il paradosso e “surfa” tra le contraddizioni cercando equilibri. Chi guida una comunità, piccola o grande, deve fare continuamente i conti con i paradossi. Anzi, potremmo dire che rendere un gruppo di persone una comunità sia proprio un equilibrio tra paradossi. Lo psicologo Bernardo Ferdman individua tre paradossi della vita di comunità: Il paradosso dell’espressione di sé e dell’identità. Da una parte la volontà di appartenere e dall’altra la volontà di distinguerci e salvaguardare la nostra unicità. Sentiamo il bisogno di identificarci con un gruppo ma abbiamo anche bisogno di poter esprimere le nostre differenze. Tutto in una semplice domanda: “Come possiamo essere al contempo simili ma diversi?”.

Il paradosso dei confini stabili

Il paradosso dei confini stabili ma anche un po’ modificabili. Perché esista un “noi” serve un confine che ci separi dagli “altri”. I confini devono essere chiari e precisi, ma esiste anche la volontà di accogliere nuovi membri e che possano esprimere le loro idee. Per questo dobbiamo essere disposti a ridisegnarli, senza però perdere l’identità. Il paradosso del comfort. Costruire una comunità inclusiva e non esclusiva, vuol dire saper trovare il mix tra comfort e disagio, tra le istanze di sicurezza dei membri e la volontà di assumersi dei rischi. Saper accogliere il disagio altrui riducendo il nostro comfort. È finita l’era (ideologica) in cui l’unità era la misura della somiglianza tra i membri. Oggi, l’unità è la capacità di abbinare e integrare le singole differenze e unicità. Per trovare “unità” dobbiamo prima attraversare il paradosso delle differenze. Sciogliere i nodi, scoprirci.

“Comunità-insalata” o “comunità-mosaico”

John Berry utilizza due metafore potentissime. Dobbiamo essere “comunità-insalata” o “comunità-mosaico”. Dove ciascuno di noi è una tessera diversa (o una foglia diversa) di un grande capolavoro (o una semplice insalata). Comunità dove il dissenso pesa quanto il consenso, dove la libertà di espressione è massima ma non distruttiva. Dove il nuovo membro è accettato prima che gli sia chiesto di essere assimilato (il contrario di quello che spesso accade oggi). Imparare a gestire il disagio e comprendere che coloro che non capiamo sono importanti per la nostra crescita e il nostro successo individuale e collettivo. Diventare sé stessi richiede di crescere e imparare, soprattutto da coloro che sono molto diversi o che non capiamo. Dopotutto, come diceva Martin Luther King, Jr. “la salvezza umana è nelle mani di coloro che sono creativamente disadattati”. Caro Pomodoro e Cara Lattuga, disadattiamoci creativamente, allora!

Andrea Laudadio

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