Riappropriarsi della dimensione umana
Il 26 settembre 1983 di Stanislav Petrov e l’importanza del fattore umano dietro l’alta tecnologia
L’essere umano è ancora oggi, senza dubbio alcuno, il garante di una complessità cognitiva, soprattutto nell’approccio relazionale all’ambiente che popola, un approccio che nessuna macchina può padroneggiare né del tutto eguagliare

Il 1983, esattamente quaranta anni fa, è stato un anno cruciale per riaffermare nella storia dell’umanità la centralità del fattore umano, in una epoca sempre più governata dalla tecnica. In quell’anno si è registrata l’uscita del notissimo film ‘Wargames’, la cui apertura mostra dei militari richiusi in un bunker anti-nucleare alle prese con una esercitazione, che loro non sanno essere tale, in cui andrà simulata la risposta a un attacco nucleare russo.
La fallibilità emotiva di un ufficiale, non disposto a premere il fatidico bottone, porterà alla decisione di computerizzare l’intero sistema di difesa nucleare, per vincere le resistenze di ordine morale e culturale dell’essere umano – e con le conseguenze ben note a chiunque abbia visto il film.
Ma il 1983 è anche l’anno in cui si è consumata l’epopea di Stanislav Petrov.
Petrov, alto ufficiale dell’esercito sovietico addetto alla verifica satellitare dei movimenti aerei e missilistici in un bunker moscovita, il 26 settembre del 1983 si trovò davanti l’allarme di attacco segnalato dal suo computer – un missile statunitense lanciato dalla base di Malmstrom, nel Montana, era in viaggio, sorvolando i cieli, diretto verso l’Unione Sovietica.
La consegna regolamentare era piuttosto lineare, per quanto drammatica; disporre un immediato contro-attacco missilistico nucleare, secondo la direttrice concettuale della mutua distruzione di massa.
L’intuito militare umano di Petrov però bloccò la procedura di risposta nucleare; gli parve infatti assai improbabile che una potenza come gli Stati Uniti, ben conoscendo quale sarebbe poi stata la reazione sovietica, avesse potuto condurre un attacco con un unico missile. Poco dopo però il report del computer segnalò altri quattro missili provenienti dagli USA; Petrov ritenne anche in questo caso che l’attacco fosse troppo esiguo in considerazione dell’effettivo arsenale bellico americano e così invece di segnalare ai suoi superiori un attacco in corso, fece rapporto indicando un mero malfunzionamento del computer. La sua previsione si rivelò corretta.
L’aver deviato dalla meccanica procedura regolamentare, tanto computerizzata quanto burocratica, ha scongiurato un potenziale olocausto nucleare, garantendo la sopravvivenza del mondo per come lo conosciamo oggi e valendo a Petrov il riconoscimento grato dell’intero pianeta e vari premi attribuitigli tra il 2004 e il 2013. L’episodio vissuto da Petrov dimostra la necessità, per risollevarsi dal baratro del potenziale sdilinquimento dell’umano nel tecnico, di riappropriarsi di una intima dimensione umana, razionale e metafisica al tempo stesso.
La centralità del fattore umano nel governo dell’alta tecnologia è una prospettiva regolatoria e morale irrinunciabile, riaffermata in Carte etiche, atti normativi, dichiarazioni di politici ed esperti. L’emotività umana può essere un problema, in alcuni frangenti di elevatissimo stress, si pensi a una operazione chirurgica delicatissima o alla fatale decisione, da prendere in pochissimo tempo, di come reagire a un assalto condotto con armi nucleari.
Per questo si è ritenuto che la macchinizzazione dei processi decisionali, superando l’incertezza dettata dall’ansia o dal terrore o da scrupoli di ordine morale, potesse accelerare, rendere più efficaci ed efficienti determinati percorsi decisionali o alcune precise attività. Ma l’essere umano è ancora oggi, senza dubbio alcuno, il garante di una complessità cognitiva, soprattutto nell’approccio relazionale all’ambiente che popola, un approccio che nessuna macchina può padroneggiare né del tutto eguagliare.
La vera questione, quindi, è rifuggire da sirene di totale sostituzione nei processi decisionali complessi dell’essere umano con la macchina, e stabilire più semplicemente quale grado di aiuto macchinizzato l’uomo voglia o di cui necessiti, come ha autorevolmente sottolineato, a proposito di intelligenza artificiale, Ben Shneiderman nel suo recente volume ‘Human-Centered AI’ (Oxford University press, 2022).
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