Banderuola. La definizione che Matteo Renzi ha dato di Giuseppe Conte non è andata giù al leader del Movimento. “Non si può ridurre la politica a battute”, ha replicato chi incarna il soggetto politico nato dal capo comico Beppe Grillo, tutto costruito sulla satira e sugli algoritmi. Proprio le 5 Stelle, il massimo del rating, stando alla ricostruzione di Marco Canestrari e Nicola Biondo (autori del libro “Supernova”) stava a significare l’orientamento della rete da seguire. Di volta in volta diverso, a seconda dei momenti, della leva emozionale, dell’opportunità immediata. Ed ecco Giuseppe Conte che grida dall’opposizione ogni giorno e pare accordarsi con la maggioranza la notte. La Rai gli sta a cuore: i vicedirettori “bollinati” 5 Stelle, Alessandro Di Majo “in quota” Movimento nel Cda di viale Mazzini, la presidenza della Vigilanza alla senatrice Barbara Floridia sono frutti di un accordo di non belligeranza tra Conte e Meloni.

Le acrobazie del contismo

Pochi giri di parole: il M5s ha incassato la condirezione della TgR, la testata dei tg regionali, con Roberto Gueli. Quindi tre vicedirettori, Senio Bonini al Tg1, Lucia Duraccio a Rai Parlamento e Bruno Luverà agli Approfondimenti Rai. Ecco perché Conte adesso si sfila dalle contestazioni, dopo aver detto seccamente no al sit-in a viale Mazzini la settimana scorsa. E se ieri a Napoli c’è stata anche una manifestazione sfociata in scontri con le forze dell’ordine, con i contestatori (pro-Pal) che contestavano la nota di Sergio solidale con Israele, ecco che Conte – prontissimo a chiedere il cessate il fuoco e il “ritiro delle armi a Israele”, peraltro già bloccate – cambia radicalmente posizione. “Credo che ci sia un clima, adesso, di attacchi personali anche forse di minacce nei confronti dell’amministratore delegato della Rai. Questo mi sembra che sia trascendere il confronto di critica legittima”. Acrobazie del contismo.

Il camaleontismo di Conte: da gialloverde a giallorosso

Se guardiamo alla sua storia, non c’è da stupirsi: il contismo è camaleontismo politico puro. Individuato al di fuori della politica, come tecnico bipartisan gradito al M5S ma anche alla Lega – dicendosene equidistante – Conte è diventato prima il garante del governo gialloverde, poi quello del governo più a sinistra della storia. Ecco Conte, di tutte e di nessuna bandiera, muovere i primi passi: nell’ottobre di quel 2018 approva in Consiglio dei ministri i Decreti Sicurezza firmati da Matteo Salvini. Scenderà in conferenza stampa per rivendicarli con orgoglio, esponendo un manifestino a uso dei fotografi. Gioirà quando otterrà dal Parlamento la conversione in legge (legge n. 132 del 1° dicembre 2018) salvo poi cambiare maggioranza, archiviare l’alleanza con la Lega e abbracciare quella con il centrosinistra. Dimenticata la legge sulla legittima difesa, archiviate in fretta le chiusure contro i migranti, in questa nuova veste, Conte cambia colore. Come un camaleonte che cambia albero, diventa – da gialloverde che era – giallorosso. Si intesta tutte le rivendicazioni sociali possibili e rinnega i decreti sicurezza. Anzi, li dichiara inaccettabili. Tanto da meritare, il 20 dicembre 2019, una lusinghiera intervista dell’allora segretario Pd, Nicola Zingaretti, che lo definì “fortissimo punto di riferimento di tutte le forze progressiste”.

Lui se ne compiace: “Da giovane ho avuto una formazione politica di sinistra”. Non seguirà mai alcun dettaglio, né alcuno che se ne ricordi. Nel suo nuovo ruolo, Conte si sposta su posizioni più radicali: lo stop alle armi all’Ucraina, quello all’adeguamento del Pil alle richieste Nato e la difesa a oltranza del reddito di cittadinanza ne fanno l’incarnazione del leader che la sinistra non trova: azzerati i suoi redditi, sfila sempre più spesso la cravatta per diventare – almeno nei suoi desiderata – il portavoce di un bacino elettorale mal rappresentato. Ma è sempre un camaleonte pronto al salto del ramo. Che di giorno grida contro il peggiore dei governi e di notte conclude accordi di favore. Sulla Rai, il M5S è nei fatti parte di una maggioranza allargata. Su altre questioni, coincide con Avs e strattona Elly Schlein da sinistra. Dopo il vertice – tenuto riservato fino all’ultimo – tra Conte e Landini, la fronda nel Pd si è tornata a far sentire: “Finiamo sempre per avallare i candidati del Movimento i qualche nome civico, nell’alleanza con il M5S risultiamo perdenti”. Qualcuno inizia ad accorgersene, al Nazareno.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.