Si discute tanto di “vivere per lavorare o lavorare per vivere?” Mai però si parla del morire per lavorare. Morire di lavoro. È successo ancora, ieri a Caserta un bracciante ha avuto un arresto cardiaco mentre lavorava nei campi sotto un sole cocente. Non c’è stato niente da fare, è morto. E non si può accettare, non si può morire di lavoro. Alzano ancora la voce i sindacati, come cattedrali in un deserto di silenzi. «Dopo il decesso di due settimane fa a Falciano del Massico, in provincia di Caserta, ieri a Parete l’ennesimo decesso di un bracciante agricolo.

E intanto la Regione Campania, cui abbiamo chiesto di adottare un’ordinanza, come già fatto in Puglia e Calabria, che vieti lo svolgimento di lavori all’aperto tra le 12.30 e le 16.30, non ha ancora ricevuto riscontri, tranne che la convocazione in commissione Agricoltura al Consiglio regionale dalla quale, però, non è arrivata nessuna risposta positiva alla nostra richiesta. Cosa dobbiamo ancora attendere? Un altro bracciante morto?». Scrivono in una nota la segretaria generale Flai-Cgil Napoli e Campania, Giovanna Basile e il segretario generale Flai-Cgil Caserta, Igor Prata. Da qui un appello non solo alle istituzioni ma anche alle aziende.

«Due giorni fa Inps e Inail – ricordano Basile e Prata – hanno pubblicato le istruzioni per la cassa integrazione ordinaria in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa a causa delle temperature elevate, alla quale le aziende possono accedere quando il termometro supera i 35 gradi centigradi. Ai fini dell’integrazione salariale possono essere considerate idonee anche le temperature percepite. Per il settore agricolo – spiegano – si applicherebbe la Cisoa». «Ci auguriamo – concludono – che si intervenga quanto prima: se non si prenderanno i necessari provvedimenti ci ritroveremo a contare ancora vittime del lavoro in agricoltura».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.