«La violenza contro le donne è una sconfitta della nostra società nel suo insieme»: le parole usate ieri dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella suonano come un allarme esplicito, un appello a fare molto di più, di fronte all’aumento drammatico dei casi di femminicidio nel nostro paese. Dall’ 1 gennaio al 7 novembre di quest’anno si sono stati registrati 247 omicidi, con 103 vittime donne (una ogni tre giorni), di cui 87 uccise in ambito familiare o affettivo. Ogni giorno 89 donne in Italia sono vittime di reati di genere. Le molestie, i ricatti e le altre forme di intimidazioni nei confronti delle donne sono un fenomeno molto più diffuso di quanto non si pensi. Sono tante le vittime di cui non si parla, migliaia di donne senza un volto che hanno subito nel corso della vita forme gravi di violenza, soprusi, discriminazioni.

Secondo la relazione appena approvata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio nessuna delle donne uccise nel 2017-2018 aveva mai confidato a qualcuno di essere in difficoltà, di temere per la propria incolumità, di subire maltrattamenti. Troppa la paura, anche nei confronti di una società e di istituzioni ritenute a buona ragione “maschiliste”. Se si è donne è ancora molto complicato far rispettare i propri diritti in tutti i contesti: sociali, lavorativi e familiari. Sappiamo bene che il lavoro rimane la prima forma di emancipazione e riscatto, ma gli investimenti non sono sufficienti: mancano strumenti di protezione e di assistenza per un concreto reinserimento socio-lavorativo di chi è vittima di soprusi. I ritardi rispetto agli altri paesi europei sono siderali, nonostante in Italia ci siano più donne laureate rispetto agli uomini. Gli sgravi fiscali specifici per favorire le assunzioni di lavoratrici, soprattutto nel sud, sono troppo deboli, non si fa abbastanza per il sostegno alla maternità ed al lavoro di cura, scarseggiano gli asili nido, i servizi socio – assistenziali, i centri di ascolto.

La violenza si annida spesso nelle frustrazioni di una precarietà infinita, nel divario salariale tra uomini e donne, dei part – time involontari, nel sovraccarico di lavoro domestico. Le discriminazioni di genere, il mobbing, il sessismo sono spesso l’anticamera di fenomeni di degenerazione gravi. Ecco perché spetta anche al sindacato fronteggiare e denunciare queste forme di violenza, continuando e rafforzando la nostra opera quotidiana, attraverso la contrattazione nazionale ed aziendale e con la rete dei servizi sui territori, per un cambiamento sociale e culturale che metta al centro la tutela della persona, a partire dai luoghi di lavoro. Non bisogna avere tentennamenti nei confronti di chi maltratta ed umilia le donne come avviene, per esempio, a tante ragazze straniere costrette a prostituirsi o alle braccianti, italiane e straniere, vittime del caporalato, ridotte a lavorare spesso in condizioni disumane di sfruttamento.

Bisogna migliorare i processi educativi, come ha ricordato ieri anche Mattarella, spiegare fin dall’infanzia che il rispetto reciproco tra uomini e donne è il fondamento di una comunità. Questo è uno dei compiti che la scuola italiana deve assumere come una priorità, coinvolgendo in questa azione pedagogica le espressioni migliori della società. È una questiona di civiltà, di salvaguardia dei valori della convivenza civile, dell’umanità, della vita. Ecco perchè occorre saper costruire le condizioni per una alleanza vera tra le istituzioni, la società civile, le associazioni, la scuola, l’università, ed anche il mondo dell’informazione. Ciascuno deve fare la sua parte nella battaglia contro i femminicidi ed ogni forma di violenza, unendo uomini e donne, giovani ed anziani, per una giusta causa. Non possiamo guardare dall’altra parte, come ci ha ricordato ieri Papa Francesco. Dobbiamo batterci contro ogni intimidazione, per la libertà e la piena dignità di tutte le donne.