«Nelle ultime due settimane in Italia si sono consumati ben otto femminicidi e molte delle vittime subivano violenza maschile da diversi anni. Nella maggior parte dei casi si tratta di maltrattamenti – riporta l’agenzia Dire – che avvengono tra le mura domestiche», una violenza che, come sottolineato dalla D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, non viene adeguatamente riconosciuta. Anzi oltre il danno spesso c’è anche la beffa: la violenza fisica e psicologica subita viene in più occasioni accompagnata dalla cosiddetta vittimizzazione secondaria, ossia la condizione di sofferenza della vittima che, a causa di procedimenti giudiziari contraddittori soprattutto in materia di affidamento dei figli, è scoraggiata a sporgere denuncia.

«Il 74,1% delle avvocate dichiara che l’alienazione parentale (Pas) o altri comportamenti manipolatori da parte della madre sono citati nelle relazioni delle Ctu, consulenze tecniche d’ufficio, che nel 94% dei casi non pongono domande in merito alla violenza subito e/o assistita. Ma nella totalità dei casi il/la giudice, acquisita la relazione del/la Ctu, assume nel proprio provvedimento (definitivo o interlocutorio) i suggerimenti proposti dal/la Ctu, senza sottoporre la relazione peritale ad alcun giudizio critico». È quanto emerge dall’indagine curata da Titti Carrano, Elena Biaggioni e Paola Sdao e dalle avvocate Ethel Carri e Maria Cristina Cavaliere della rete D.i.Re, presentata ieri in occasione del digital talk ‘Il (non) riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per i minorenni”, al quale hanno partecipato Marta Cartabia, ministra della Giustizia che a causa di impegni istituzionali ha dato il suo contributo con una lettera di saluti, Elena Bonetti, ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Valeria Valente, senatrice e presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, Carla Garlatti, Garante per l’Infanzia, Monica Valletti, magistrata e Gianmarco Gazzi, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali.

«Le decisioni prese dai tribunali civili e per i minorenni provocano la vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza di genere. Un passo in avanti è stato compiuto: la violenza domestica sarà riconosciuta come tale dalla legge che ridisegnerà la giustizia civile. Non si parlerà, dunque, più di conflitto bensì di violenza. Questa è una conquista importante ma non basta. La riforma della giustizia darà i propri frutti solo se i magistrati saranno adeguatamente formati sui processi che riguardano la violenza subita dalle donne». Questo il monito lanciato da Antonella Veltri, presidente D.i.Re, Donne in rete contro la violenza. «Anziché ottenere giustizia- ha aggiunto- le donne diventano vittime per una seconda volta quando emerge il tema dell’affidamento dei figli, spesso invocato dai padri maltrattanti nonostante il rifiuto dei bambini. Il sistema di antiviolenza italiano ha molte falle. Navighiamo a vista. Il Piano nazionale di antiviolenza è scaduto da più di un anno. La politica- conclude- deve assumersi le proprie responsabilità altrimenti avrà sulla coscienza le donne che continueranno a subire violenza anche nei tribunali a causa di provvedimenti controversi che le rendono vittime per la seconda volta».